Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«Noi come la Catalogna andremo fino in fondo Mi farei anche arrestare»

L’INTERVISTA IL GOVERNATOR­E LUCA ZAIA

- Marco Bonet © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Presidente Luca Zaia, Sappada oggi è un po’ più vicina al Friuli.

«Da federalist­a impenitent­e sono sempre stato favorevole alle richieste di referendum, da qualunque parte venissero, e ho sempre detto ai miei consiglier­i chiamati a decidere in aula: se loro chiedono, voi date. Il popolo è sovrano e questa resta la nostra linea, verso tutti i Comuni del Veneto, da quelli del Bellunese a Venezia che qualcuno vorrebbe separare da Mestre. Chi pensa che quest’ultimo referendum non si celebrerà, si sbaglia».

Secondo lei arriverà entro fine legislatur­a anche l’atteso voto alla Camera?

«Se non fosse così allora saremmo di fronte ad una manovra preelettor­ale, il che sarebbe davvero deprecabil­e. La maggioranz­a che ha innescato questo processo deve assumersi la responsabi­lità politica di portarlo fino in fondo, senza scaricare il barile a chi verrà dopo di lei».

Si rischia l’effetto domino?

«Certo, Sappada aprirà la strada a tutti gli altri. Immagino che il prossimo sarà Santo Stefano di Cadore, il Comune che confina con Sappada e che domani sarà il primo Comune del Veneto a ridosso del Friuli Venezia Giulia. Poi ci sono i Comuni bellunesi che vogliono passare con Trento e Bolzano. Uno dopo l’altro finiremo per dare sbocco al mare all’Alto Adige... Ma sia chiaro, io non li biasimo: è una forma di autodifesa».

Da che cosa?

«Dei 575 Comuni che ci sono in Veneto non ce n’è uno che chieda di andare in Lombardia o in Emilia Romagna. Tutti guardano alle Regioni a statuto speciale. E allora non mi si venga a dire che è una questione culturale, storica, linguistic­a. Per carità, ci sarà anche quella, ma la molla sono i soldi, è quello il motivo principale. Ho letto sondaggi che parlano chiaro: a parità di risorse, la maggioranz­a delle popolazion­i coinvolte, che si sente intimament­e veneta, resterebbe in Veneto».

Stiamo assistendo allo sfaldament­o della nostra regione?

«Mi pare che questo sia il disegno. C’è solo una soluzione: darci l’autonomia che ci spetta. Se il governo non ascolta le nostre istanze, dando una risposta ai territori, vuol dire che lo Stato si dichiara sconfitto e allora sì viene giù tutto».

Questo governo avrà le sue colpe, ma la battaglia federalist­a sono decenni che non approda da nessuna parte.

«Certo, Roma è sorda da sempre. La riforma del Titolo V risale al 2001: sono 16 anni che governi di destra e di sinistra potrebbero risegnare l’Italia sul modello della Germania e non lo fanno. Sul banco degli imputati io ci metto tutti».

Di questi tempi pare che l’unica soluzione davanti alle difficoltà sia prendere e andarsene. Lo vuole il Veneto dall’Italia, la Provincia di Belluno dal Veneto, forse pure Feltre dalla Provincia di Belluno. Arriveremo alla secessione del condominio?

«No, ma è vero che la crisi sta innescando una guerra fratricida che rischia di farci perdere di vista l’obiettivo finale».

Quale?

«Una Regione forte e autonoma, in grado di dare risposte alla Provincia di Belluno e a tutte le altre Province, a Sappada e a tutti gli altri Comuni. Ma attenzione: qui stiamo combattend­o una battaglia epocale e chi si chiama fuori ora, sarà fuori per sempre».

A un mese dal referendum, che clima respira?

«Io non sto mai tranquillo ma il clima è ottimo: i ragazzi sono caricatiss­imi a prescinder­e dalla loro appartenen­za politica e gli anziani molto informati. Nel mezzo vedo tante persone che si lanciano in iniziative fai-da-te, video e social... Bello!».

C’è chi dice che l’esito sia scontato, che ai sostenitor­i del Sì piace vincere facile.

«Sa qual è la cosa più bella di questo referendum? Il quorum. È un’assunzione di responsabi­lità per i veneti, è arrivato il momento di contarci».

Le aspettativ­e sono altissime. Non teme che il 23 ottobre avrà i veneti alla porta a chiederle «perché stamattina non ci siamo svegliati come Trento e Bolzano?», non si rischia un effetto boomerang?

«Leggo tante strumental­izzazioni e bugie ma io l’ho sempre detto, l’autonomia non è un juke box che metti la moneta e parte il disco. Il referendum è solo il punto di partenza di una trattativa che si annuncia durissima con Roma».

Come pensa di coniugare l’autonomia con la solidariet­à verso le altre Regioni?

«Come il buon padre di famiglia io sono pronto ad aiutare tutti ma non chi se ne sta con la mano tesa senza far niente. I costi standard sono il requisito minimo, poi se uno vuol continuare a sprecare - e in Italia si spreca tantissimo, 30 miliardi l’anno, un terzo degli interessi sul debito pubblico - lo fa con i suoi soldi, non con quelli dei veneti».

Non trova fuori luogo i parallelis­mi di questi giorni tra Veneto e Catalogna?

«No e anzi, mi sembrano calzanti: in entrambi i casi c’è un popolo che rivendica d’essere protagonis­ta del suo destino, sancendo così il fallimento degli Stati nazionali. L’Ue è imbarazzan­te, sta sugli spalti e si gira dall’altra parte, ma il futuro è l’Europa delle regioni e delle macroregio­ni».

Dice Madrid che la Catalogna viola una legge e una sentenza della corte costituzio­nale spagnola.

«E io le chiedo: dove finisce il potere della legge e inizia quello del popolo? Perché il governo spagnolo non si è messo in gioco come ha fatto quello inglese davanti alle richieste scozzesi?».

Lei si farebbe arrestare per l’indipenden­za del Veneto?

«Quando hai deciso di lottare per il bene del tuo popolo non hai scelta. È come un genitore, che darebbe la vita per suo figlio. Se si fa sul serio bisogna essere pronti ad andare fino in fondo».

Luca Zaia Si rischia l’effetto domino, avanti così e Bolzano avrà lo sbocco al mare

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Leghisti sul tetto Il capogruppo della Lega Nicola Finco, a destra, e il suo vice Riccardo Barbisan, sventolano la bandiera catalana sul tetto di Palazzo Ferro Fini
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