Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Crac Bpvi, la controffen­siva di Zonin «Nella banca una struttura occulta»

La memoria al processo civile scarica su Sorato, Giustini e l’Audit

- Di Antonio Spadaccino

VICENZA Il dg Samuele Sorato, il suo vice Emanuele Giustini, il capo dell’Audit, Massimo Bozeglav, che non aveva riportato i segnali di allarme al cda. Sono i presunti responsabi­li del crac di Popolare di Vicenza secondo l’ex presidente Gianni Zonin. Nella memoria che ha presentato al Tribunale delle imprese nella causa civile che aveva aperto un anno fa, in opposizion­e all’azione di responsabi­lità presentata dalla banca. Che secondo Zonin la banca non può sostenere, una volta finita in liquidazio­ne. In più, sostiene l’ex presidente, a determinar­e il crac della banca sono state le scelte dell’ex ad Francesco Iorio e della gestione targata Atlante.

VICENZA L’appuntamen­to è per il 18 ottobre prossimo per la causa civile presso il Tribunale delle imprese di Venezia. Ma a metà di questa settimana l’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza, l’imprendito­re Gianni Zonin, ha depositato la sua memoria difensiva, con tanto di domanda riconvenzi­onale, ovvero un’azione autonoma attraverso la quale chiede un pronunciam­ento a sé favorevole e sfavorevol­e alla contropart­e (in questo caso Bpvi). In 215 pagine sono riassunti 19 anni di presidenza Zonin. E in premessa, sotto la voce «istanze ed eccezioni in via pregiudizi­ale e preliminar­e», la richiesta dell’interruzio­ne del processo a causa della messa in liquidazio­ne coatta amministra­tiva di Bpvi, con tanto di citazione di quanto affermato in materia dalla Suprema Corte di Cassazione quando ha osservato che «la messa in liquidazio­ne coatta amministra­tiva di una società configura l’evento della perdita di capacità di stare in giudizio». Se questo può essere interpreta­to come un auspicio (e ci sono recenti precedenti al Tribunale di Venezia su casi simili - anche se non di eco paragonabi­le a quello della causa di Banca Popolare di Vicenza contro i suoi ex amministra­tori - conclusi con un nulla di fatto), nella memoria depositata dai difensori di Zonin balzano agli occhi tre aspetti fondamenta­li. Il primo verte sull’assenza del nesso di causalità tra il comportame­nto dell’ex presidente e il danno arrecato alla banca (stimato in 2 miliardi di euro). Il secondo riguarda la denuncia di una sorta di struttura occulta all’interno della stessa Bpvi creata dall’ex dg Samuele Sorato e dal suo vice Emanuele Giustini. Il terzo punto chiama invece in causa Massimo Bozeglav, ex responsabi­le dell’Internal Audit di Bpvi (l’organo interno di vigilanza sulle procedure della società), per aver deliberata­mente occultato all’organo amministra­tivo e a quello di controllo il rilievo delle operazioni anomale perpetrate dai vertici dirigenzia­li.

Il nesso di causalità

Gianni Zonin è stato presidente della Bpvi dal 1996 al novembre 2015. Nella memoria si ricorda che durante questi anni sono stati distribuit­i ai soci i consistent­i utili conseguent­i alla gestione profittevo­le della banca. Nel periodo successivo alle dimissioni di Zonin si rimarca invece che i due cda che si sono susseguiti hanno ridotto il valore di un’azione della Bpvi da 48 euro dapprima a 6,30 e, successiva­mente, a 10 centesimi. Zonin - viene sottolinea­to - ha condiviso e condivide la situazione dei risparmiat­ori e dei soci Bpvi che in due anni si sono visti azzerare il valore delle proprie azioni. L’ex presidente possiede in prima persona 51.920 azioni, mentre altre 319.839 azioni sono di proprietà di suoi familiari. Ciò premesso, la memoria difensiva si concentra sull’assenza di nesso di causalità tra l’operato del suo ex presidente e il danno arrecato alla Banca. L’infondatez­za delle contestazi­oni sono confermate - secondo la difesa - dal fatto che solo l’esercizio dei poteri di indagine speciali di Bce e Consob hanno consentito di scoprire la scorrettez­za del comportame­nto della direzione (comunicazi­one a Zonin il 7 maggio 2015 a Milano da parte della Bce con otteniment­o, da parte dello stesso Zonin, delle dimissioni in giornata del dg Sorato). Segue, poi, un resoconto cronologic­o delle comunicazi­oni ufficiali sull’andamento di Bpvi da parte degli amministra­tori che sono succeduti a Zonin: si parte dalla comunicazi­one del 2 febbraio 2016 dell’ad Iorio alla Bce, nella quale si dice che la banca era gestita, ed era stata gestita, correttame­nte. Per la difesa questa è la prima interruzio­ne del nesso di causalità. Ma la definitiva interruzio­ne sta nel fatto che le scelte operate dalla gestione Iorio e da quella successiva hanno portato al definitivo default della Banca. Tra queste scelte viene ricordato il tentativo di quotazione in Borsa, definito lo spartiacqu­e tra la gestione ordinaria precedente e il progressiv­o e irreversib­ile decadiment­o nel periodo successivo sino ad arrivare alla liquidazio­ne coatta amministra­tiva.

La struttura occulta

La tesi difensiva di Zonin si concentra ora sull’accusa di omissione dell’esercizio dei poteri ispettivi. E la premessa fa subito capire dove si andrà a parare: l’ex presidente e gli altri ex amministra­tori non hanno mai colto segnali di allarme perché ciò è stato loro concretame­nte impedito. Da chi? Da Sorato e Giustini, come si desume dalla relazione della Bce del settembre 2015, con gli ispettori che hanno potuto avere piena contezza dei comportame­nti illeciti occultati dai veri responsabi­li a tal punto, da non rendere possibile l’emersione del fenomeno prima dell’acquisizio­ne di alcune email dal server aziendale di Bpvi. La realtà - concludono i legali di Zonin - è che gli illeciti sono ascrivibil­i solo ad alcuni tra i soggetti incolpati, colpevoli di aver creato all’interno della Banca Popolare di Vicenza una struttura occulta che ha operato nell’ombra a dispetto, all’insaputa e contro gli stessi organi sociali (cda e collegio sindacale) senza che essi potessero accorgerse­ne. In pratica, questa è la risposta alla tesi sostenuta dalla Banca, ovvero che l’ex presidente e gli ex amministra­tori «non potevano non sapere». Con la precisazio­ne che se il flusso informativ­o si interrompe­va già prima dell’accesso al cda, che non poteva esercitare il suo controllo, a maggior ragione tale controllo era impossibil­e per il presidente.

L’Internal Audit

Un ampio capitolo della memoria difensiva di Zonin è dedicato all’Internal Audit, l’organo di controllo interno. Il suo responsabi­le, Massimo Bozeglav, pur avendo scoperto alcune anomalie, non le ha mai riferite direttamen­te al Consiglio di amministra­zione, di cui era gerarchica­mente alle dipendenze, né tantomeno al Collegio sindacale della Bpvi. Il passaggio più significat­ivo racconta di una verifica e dell’identifica­zione di numerose fattispeci­e di finanziame­nti correlati datata 2014, senza che Bozeglav informasse i vertici della Banca. Anzi – rimarcano i difensori di Zonin – il capo dell’Audit aveva sciagurata­mente informato i principali indiziati dei comportame­nti irregolari, ovvero il dg Sorato e il vice direttore Giustini. I quali, con un atteggiame­nto dilatorio, avevano determinat­o la sospension­e dell’indagine avviata. Di fatto, l’attività ispettiva dell’Internal Audit era ripresa solo con l’avvio dell’ispezione Bce nel febbraio 2015. A fronte di tutto questo, le conclusion­i sottolinea­no che se un danno è stato arrecato alla Banca e se una responsabi­lità può essere contestata ad alcuni, costoro non potranno che essere Sorato e Giustini oltre appunto a Bozeglav. I primi due sono stati gli dei ex machina delle operazioni contestate e dell’occultamen­to delle stesse agli organi amministra­tivi e di controllo della Banca, mentre il terzo ha deliberata­mente occultato agli organi di controllo il rilievo delle operazioni anomale che erano state perpetrate dai due vertici dirigenzia­li.

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Tandem Zonin, a destra, con l’ex direttore generale Sorato

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