Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Prima dell’alba Malaguti e i misteri di Caporetto
Delitti misteriosi e le ferite ancora aperte, anche in Veneto, dopo la disfatta. L’opera di Paolo Malaguti rilegge una pagina di storia ancora densa di ombre. A partire dal giallo sulla fine di Andrea Graziani, il «fucilatore»
Il 27 febbraio 1931, il generale Andrea Graziani, il «fucilatore» di Caporetto, viene trovato morto sui binari nel tratto PratoFirenze. La vittima è l’alto ufficiale al quale Luigi Cadorna, dopo la disastrosa sconfitta contro gli austriaci, aveva dato l’ordine di reprimere con tutti i mezzi ogni tentativo di ribellione fra i nostri soldati. Le autorità dell’epoca archiviarono frettolosamente il caso: «Caduta accidentale dal treno». Ma un uomo che cade per errore dal treno, va a finire sulla scarpata opposta a quella di marcia? È solo uno dei misteri al centro del dramma di Caporetto che oggi cerca di risolvere il romanzo storico «Prima dell’alba» (Neri Pozza, 304 pagine, 17 euro). Lo ha scritto Paolo Malaguti, nato a Monselice, docente di Lettere a Bassano del Grappa e l’anno scorso finalista al premio Strega con «La reliquia di Costantinopoli», un altro suo libro che lo ha consacrato fra gli autori più interessanti della narrativa di matrice storica. Significativamente, «Prima dell’alba» è dedicato alla memoria dell’artigliere Alessandro Ruffini, fucilato a Noventa il 3 novembre 1917: al passaggio del generale Graziani non si era tolto il sigaro di bocca.
Il romanzo di Malaguti si legge come un saggio. Da una parte, racconta la Grande Guerra dal basso: ognuno dei 18 capitoli è dedicato a una vittima della repressione poliziesca, uno degli aspetti meno noti del primo conflitto mondiale; dall’altra, è un giallo che ruota attorno alla morte di Andrea Graziani, il burbero generale temuto dalla truppa che dopo essere stato messo a riposo, era stato riabilitato dal fascismo. Nato a Bardolino nel 1864, Graziani, durante uno dei viaggi da Roma a Verona, il 27 febbraio 1931, nei pressi di Calenzano, vicino a Firenze, cade dalla carrozza di prima classe e l’indomani fu ritrovato morto a una certa distanza dai binari. Suicidio o omicidio? Il giudice Cosentino aprì l’inchiesta al mattino e la chiusa la sera. Mussolini non voleva di certo scandali sulla morte dell’eroe della Prima Guerra Mondiale. Ma c’è un protagonista che spicca nel romanzo di Malaguti: il Vecio. Che racconta il mondo della trincea e coltiva il desiderio della vendetta. Si salverà la vita ma resterà quasi senza faccia, sfigurato per sempre, un «mostro» che nascondeva la sua deformità con una sciarpa: la sua vita da reduce fu peggiore di quella del soldato, smarrito nell’alcolismo e nella sete di vendetta.
La guerra è un mondo a parte. Con un luogo che segna il destino dei soldati. Scavate nelle roccia e nel sangue, protette da metri di filo spinato e cemento, le trincee sono il simbolo della Grande guerra. Chilometri di fossati dove la vita e la morte di migliaia di uomini s’inseguono in un terribile alternarsi di paure, sogni e segni. La maestria di Malaguti sta nell’aver scritto un libro che tra fiction e realtà ipotizza che la morte di Graziani abbia a che fare il suo comportamento al fronte. Vendetta di un testimone delle esecuzioni o dei parenti di una delle vittime? O di chi altro? Spetta al lettore scoprire la verità.
La storia restituisce l’enigmatica figura di Andrea Graziani, la stessa che qualche anno fa tornò a dividere anche in anni recenti, quando gli amministratori del Comune di Valgatara, nel Veronese, tirarono fuori dalla cantine un busto del generale e lo posero accanto al monumento ai caduti. Una provocazione. Così la statua venne buttata da mani anonime e dissidenti in fondo a un laghetto e recuperata mesi dopo. Bene ha fatto Paolo Malaguti a ricordarci Caporetto, pagina di storia ancora da scrivere. Ancora meglio ha fatto a raccontarci la ritirata dal basso con una prosa e uno stile in presa diretta. Interi Paesi furono trasferiti: Enego, dall’altopiano di Asiago, finì per trapiantarsi in Calabria mentre Cismon del Grappa rinacque a Marsala. Fuori da ogni retorica, il sentimento nazionale si creò anche attraverso la convivenza forzata dopo la tragedia di Caporetto.