Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Lite per debiti: spari in azienda un morto e un ferito grave
Salvatore Allia sta scontando 20 anni di galera. Nella vita del ragazzo, aziende e auto di lusso
MONSELICE (PADOVA) È una vita strana, quella di Benedetto Allia. Una miscela di ricchezza e personaggi ambigui, di affetti e violenza. E, soprattutto, di un passato che ritorna e ha il volto di un padre che, come lui, si è ritrovato con le mani sporche di sangue.
Ieri, questo ragazzo di 28 anni (di origini siciliane ma cresciuto al nord) ha ammazzato a fucilate un crotonese rischiando di fare lo stesso con un suo dipendente. E in fondo, non è molto diverso da ciò che fece suo padre Salvatore il 24 novembre del 2003 a Giussago, nel Veneziano, quando sparò in faccia a un suo socio in affari, il pierre Paolo Grubissa, per poi seppellire il cadavere in un bidone di metallo nei pressi di un cantiere edile, a Sagrado (Gorizia).
Il movente pare fosse di tipo sentimentale: Allia aveva scoperto che la vittima aveva una relazione con la sua compagna, e aveva perso la testa. Almeno questo è ciò che ha sempre sostenuto l’omicida, anche se in seguito emerse l’ipotesi che il pierre fosse stato ammazzato perché aveva raccontato in giro gli strani traffici di armi notati nell’azienda che all’epoca l’imprenditore siciliano gestiva a Monfalcone. Si parlò anche di legami con la criminalità organizzata e intorno alla figura di Salvatore Allia spuntarono diversi personaggi poco rassicuranti. Uno su tutti: Antonino Foti, arrestato con l’accusa di averlo aiutato a sbarazzarsi del cadavere e che nel 2011 finì di nuovo nella rete della polizia che gli trovò in casa una mitraglietta «Skorpion», come quella usata dalle Brigate Rosse per uccidere Aldo Moro.
Il processo si chiuse con la condanna a vent’anni di galera per Salvatore e l’assoluzione di suo fratello Fabrizio, che era accusato di favoreggiamento e minacce di tipo mafioso. In carcere rimase a lungo, per poi uscire, farsi vedere in giro al volante di auto costose, e infine ritornare in cella per aver trasgredito ai paletti della semilibertà. In mezzo, ha trovato pure l’occasione di mettersi nei guai perche - secondo l’accusa - aveva pagato un agente penitenziario per procurargli un telefonino e piccole quantità di droga.
Insomma, da quand’era bambino Benedetto Allia ha quasi sempre incontrato il padre in carcere. Oggi si scopre che pure lui ha avuto qualche problema con la Giustizia, ma cose di poco conto. Per il resto si è caricato sulle spalle l’eredità paterna, tirando avanti l’azienda di famiglia.
«Un ragazzo simpatico, la classica persona con cui ti faresti una birra», racconta un vicino che abita proprio accanto al capannone della «Lb Allia» di Bagnoli di Sopra (Padova), che si occupa di verniciatura. È lì dentro che ieri è avvenuto l’omicidio.
«Sia Benny che Salvatore Allia - dice il vicino - sono personaggi che si fanno notare. Benedetto gira con una Jaguar nera, mentre il padre, prima di tornare in carcere, qualche volta l’ho visto sia con una Ferrari che con una Lamborghini».
L’azienda conta diversi operai. Tra questi, fino ad alcuni mesi fa, c’era anche Yassine Lemfaddel, il ragazzo ferito nella sparatoria di ieri. È un italiano di origini marocchine che si fa chiamare «Vincenzo» e racconta in giro di essere calabrese. Alle dipendenze di un’agenzia interinale, pare fosse finito a lavorare in quella ditta grazie proprio all’intercessione di Salvatore, che l’aveva trattato come un figlio, aiutandolo perfino a trovare casa. Ad accomunarli ci sono gli anni di carcere, visto che anche Lemfaddel ha dovuto fare i conti con una condanna per reati violenti.
Da qualche mese, i rapporti con il più giovane degli Allia si erano però guastati. Questione di soldi: quelli che diceva gli spettassero e che invece Benedetto si rifiutava di dargli. Ieri Yassine li rivoleva, a tutti i costi. E l’imprenditore ha reagito premendo il grilletto. Lo stesso errore commesso da suo padre.