Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La soluzione? Aumentare i volumi nascosti
l confinamento della Co2 nel sottosuolo, ad almeno mille metri di profondità, è solo uno dei tanti metodi possibili per limitare le emissioni in atmosfera di anidride carbonica, ma ha potenzialità decisamente interessanti: «L’uomo – spiega l’ingegner Sergio Persoglia dell’Ogs che è anche segretario generale del network Co2Geonet che raggruppa 28 istituti di ricerca europei impegnati sul fronte del confinamento della Co2 – produce la gran parte dell’anidride carbonica bruciando combustibili fossili che si ottengono da giacimenti sotterranei o sottomarini. L’idea del confinamento è di catturare la Co2 laddove è prodotta in quantità, comprimerla per renderla trasportabile e, infine, iniettarla negli spazi che si sono creati nei giacimenti esauriti». Il confinamento in formazioni geologiche che non consentano alla Co2 di risalire in superficie, dovrebbe, dunque, contribuire a contenere l’aumento della temperatura al 2050 entro i 2 gradi centigradi, ma affinché l’apporto di questo metodo sia davvero significativo bisognerà centuplicare le quantità. «Questa tecnica – chiarisce Persoglia – è in uso da decenni in Canada, Usa, Australia e recentemente in Cina. In Europa sono stati fatti pochi esperimenti, ma ci sono due grandi siti attivi nel Mare del Nord in ciascuno dei quali si confina circa 1 milione di tonnellate di Co2 all’anno. In Italia – conclude - al momento non abbiamo siti di confinamento». (c.t.p.)