Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

DOVE VOGLIAMO ANDARE?

- di Paolo Costa

Se non avessimo sotto gli occhi le immagini inquietant­i del dramma catalano e nelle orecchie gli inviti a riaffermar­e la «genetica voglia di autodeterm­inazione del popolo veneto» non ci sarebbe alcun motivo per opporsi in linea di principio a che lo Stato conceda alla Regione del Veneto «ulteriori» forme e condizioni «particolar­i» di autonomia. Si dovrebbe invece, scendendo nei dettagli, valutarne l’opportunit­à. Se si rimane nel quadro costituzio­nale, le «ulteriori» competenze non possono riguardare altro che il rafforzame­nto di quelle già «condivise» tra Stato e Regione. Quelle di esclusiva competenza statale non si toccano. E le eventuali maggiori risorse finanziari­e trasferite sono quelle che lo Stato avrebbe esso stesso dedicato al Veneto per quelle attività. Tutto questo, si badi bene, solo dopo che la Regione avrà formalizza­to le sue richieste e concordato con lo Stato un’intesa perfetta: un testo sul quale le parti devono convenire fino all’ultima virgola e che lo Stato deve approvare a maggioranz­a assoluta delle due Camere. Strada lunga. Che, come noto, avrebbe potuto essere accorciata e intrapresa da tempo senza passare per il referendum. Procedura faticosa. Sopportabi­le se si può immaginare che la Regione saprà gestire meglio dello Stato quelle

«governo del territorio», ci si vuol prendere la responsabi­lità di difendere il Veneto da frane, alluvioni e tornadi; oppure che, aumentando le competenze in «norme generali sull’istruzione» e in «ricerca scientific­a e tecnologic­a e sostegno dell’innovazion­e», ci si assume la responsabi­lità di arricchire il capitale umano regionale, occupandos­i di formazione, da quella profession­ale fino all’Università, o di facilitare il trasferime­nto tecnologic­o alle imprese; oppure che si useranno maggiori competenze in tema di «grandi reti di trasporto e di navigazion­e» e di «porti ed aeroporti civili» per dare sviluppo sistemico all’enorme patrimonio di «accessibil­ità al mondo» che l’ubicazione geografica mette a disposizio­ne del Veneto. Questi o altri obiettivi capaci di far sognare i veneti, ma enunciati prima del 22 ottobre. Come si dice: «pagare moneta per vedere cammello». Ma occorre preliminar­mente cancellare anche il minimo dubbio che il referendum sull’autonomia diventi, anche involontar­iamente, il cavallo di Troia che fa riemergere il tema dell’indipenden­za. Non ne abbiamo bisogno. Crediamo alla buona fede di Zaia. Ma sull’argomento deve essere come la moglie di Cesare. Ci convinca che si sta muovendo entro il quadro costituzio­nale per scelta, non perché gli è stato imposto dalla Corte costituzio­nale. Lo faccia promuovend­o l’abrogazion­e della legge regionale che indiceva il referendum sull’indipenden­za e, ancor prima, celebrando in modo più consono quel 22 ottobre, scelto –vizietto indipenden­tista-per far coincidere la data del referendum con quello del Plebiscito per l’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866. Per fortuna di Zaia, quella data coincide anche con il centenario della rotta di Caporetto (24 ottobre 1917) e il 99° anniversar­io dell’inizio della battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre 1918). I due eventi che hanno fatto gli italiani. Unendoli definitiva­mente prima nella disgrazia e poi nel successo. Facendo nascere l’Italia del popolo proprio nel Veneto, lungo le sponde del Piave, fiume caro alla patria. Prima del 22 ottobre Zaia trovi il modo di ricordarlo e di rendere pubblico omaggio a quei due avveniment­i. Se vedremo un «cammello» carico di ulteriori competenze strategich­e utili a un Veneto pronto a sfruttare ogni spazio di autonomia entro la cornice unitaria della Repubblica, potremmo anche «pagare la moneta» di andare a votare.

Ma occorre cancellare anche il minimo dubbio che questo referendum diventi il cavallo di Troia che fa riemergere il tema della indipenden­za

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