Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Macachi liberati, così si perde un altro pezzo della ricerca italiana»
PADOVA C’è una seconda lettura della liberazione dei 27 macachi da parte del Consorzio per la ricerca sanitaria di Padova, oltre alla gioia espressa dalla Lav, che li ha accolti nel proprio Centro di recupero di Grosseto. «La dismissione della colonia di primati nella città del Santo, così come a Modena, si deve al fatto che non ci sono più soldi per la ricerca — spiega il dottor Giuliano Grignaschi, responsabile dello stabulario e del benessere animale all’Istituto Mario Negri di Milano e tra i protagonisti del docufilm presentato alla Mostra del Cinema di Venezia dall’Associazione padovana p63 sindrome EEC onlus Malattie rare nell’ambito del progetto «Rareducando» —. L’evento è legato alla chiusura del progetto di ricerca sullo xenotrapianto, ovvero il trapianto tra specie diverse, che ha buone prospettive di arrivare alle prime sperimentazioni cliniche in America, per esempio. La ricerca non si ferma».
E’ però giusto cominciare a interrogarsi su possibili alternative all’utilizzo di animali.
«Un passo avanti è stato compiuto sul fronte della cosmesi: dal 2009 sono vietati i test sugli animali e dal 2013 è proibita la commercializzazione di prodotti testati su animali. Ma per il resto siamo purtroppo ancora molto lontani dal poter sostituire i modelli animali, obbligatori per legge nei test sulla tossicità dei farmaci. Il 90% dei primati vengono impiegati a tale scopo, ma non sono più di una decina l’anno in tutta Italia».
Quali sono gli altri ambiti della ricerca nei quali vengono coinvolti gli animali?
«I test sulla sicurezza alimentare e la ricerca di base e traslazionale (dal laboratorio al letto del malato, ndr), che indaga sui meccanismi alla base della nostra vita e su come modificarli per arrivare alla cura di determinate patologie».
A quali specie si ricorre?
«Il 90% degli animali da laboratorio sono roditori, poi si utilizzano pesci e uno 0,05% di primati non umani (scimmie, ndr) e cani. La liberazione dei primati nel momento in cui un centro di ricerca non ha più i soldi per proseguire gli studi è un dovere, ma consideriamo anche l’altra faccia della medaglia. E cioè che chiudere un laboratorio e una linea di studi significa assistere alla perdita di un altro pezzo della ricerca italiana».
Insomma la salvezza delle cavie oggi può rappresentare la condanna di malati domani.
«Io capisco l’amore per gli animali ma la ricerca non si può fermare. Altri primati in altri Paesi, magari meno sensibili del nostro al benessere animale, saranno utilizzati nei laboratori e chissà in quali condizioni vivranno. Chi andrà a controllare?».