Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
IDROVIA, TEMPO DI BILANCI
Ha suscitato un certo scalpore (e non solo giornalistico) l’inchiesta del Corriere del Veneto sull’eterna «Incompiuta veneta»: l’idrovia VeneziaPadova. Scalpore che torna attuale, perché, se, per il Poeta, «settembre è tempo di migrare», per il Governo della Regione «novembre è tempo di bilanci», che significa finanziamenti, decisioni, scelte. Cento le necessità e i campi d’intervento. Limitate le risorse. Ma ecco lo scalpore del servizio giornalistico: l’indomani è uscita la notizia che la Corte dei Conti avrebbe aperto un’inchiesta per verificare se l’aver avviato mezzo secolo fa la realizzazione di un’opera pubblica di fondamentale importanza, con impiego di imponenti risorse pubbliche, poi lasciata in abbandono con enorme degrado delle imponenti infrastrutture, costituisca un danno erariale di cui taluno debba rispondere. È la piaga delle innumerevoli «incompiute », che costellano il paesaggio italico. Tra la limitatezza delle risorse e l’enormità dei bisogni la scelta è certamente difficile e talora può diventare addirittura angosciante, ma è - e dev’essere per natura sua - solo sui punti di partenza. Non è in assoluto ammissibile che la scelta cada sull’abbandono di un’opera già avviata per intraprenderne un’altra diversa e nuova, senza che sia data giustificazione alcuna dell’abbandono della prima. D’accordo che uno - e tanto meno un ente pubblico che gestisce interessi generali condizionanti- non può essere considerato ostaggio di sue decisioni pregresse.
Ma, una volta che sia strato deciso di avviare un’opera pubblica e vi siano state impiegate imponenti risorse pubbliche, l’abbandono del già fatto per intraprendere un’opera «altra» e diversa, dev’essere ben motivato e adeguatamente giustificato, per «gerarchizzare» l’uso delle scarse risorse disponibili e - quel che maggiormente rileva per un corretto amministrare - per evitare il sospetto che si tratti dello scegliere fior da fiore, che normalmente si definisce capriccio. Dove il «danno erariale» potrebbe consistere proprio nell’immotivato avvicendamento delle opere da eseguire: e se anche l’opera «altra», per eseguire la quale venne abbandonata la «prima» (nel caso l’idrovia), fosse spodestata dal sopraggiungere da un’opera «terza», ritenuta più urgente (non si sa se per l’utenza o per la redditività elettorale), anche l’opera «seconda» resterebbe incompiuta e via ipotizzando. Amministrare le risorse pubbliche, quella che i romani d’un tempo definivano la «sacra pubblica pecunia», è altra cosa. Rendere ragione, spiegare perché si lascia a metà un’opera già avviata per cominciarne un’altra con due ammennicoli: accertare che siano assicurate le risorse per completare l’opera «seconda» e stabilire che fine fanno le opere già eseguite per la «prima». Quello che in termini correnti si chiama onestà nell’amministrare i beni altrui. In questo caso la «sacra pubblica pecunia». Novembre, tempo di bilanci.