Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Parla il figlio dello storico deceduto in ospedale

Cognomi e provette scambiate «Così è morto mio padre»

- Centin

PIEVE DI CADORE Provette di sangue scambiate con quelle di un altro paziente con lo stesso cognome e terapie che di conseguenz­a sarebbero state calibrate per un’altra persona. Portando al decesso il paziente. Era il 9 maggio 2014 quando morì lo storico cadorino Alberto Giacobbi. A processo, accusati di omicidio colposo, ora ci sono quattro medici dell’ospedale di Pieve di Cadore. «L’errore era palese, ora paghino» lo sfogo del figlio Andrea che intenterà causa civile con la sorella Beatrice.

PIEVE DI CADORE (BELLUNO) «Non è mai morto nessuno di lombosciat­algia, se l’infermiera ha sbagliato scambiando le provette di sangue a causa di una omonimia è anche vero che hanno palesement­e sbagliato anche i medici che non hanno salvato mio padre quando avrebbero potuto, tanto che la dirigenza ha informato i carabinier­i dell’accaduto: l’opinione pubblica deve sapere». È un fiume in piena Andrea Giacobbi all’indomani dell’udienza che si è tenuta in tribunale a Belluno e che vede alla sbarra quattro medici dell’ospedale di Pieve di Cadore, accusati dell’omicidio colposo di suo padre Alberto, morto al «San Giovanni Paolo II» il 9 maggio 2014. Aveva 76 anni. Il suo era un volto molto conosciuto nel Bellunese: era uno storico, già presidente dell’Istituto per la Storia del Risorgimen­to italiano.

Stando alla figlia Beatrice, sentita in aula, il pensionato sarebbe morto «per emorragia cerebrale indotta dalle terapie anticoagul­anti effettuate con un erroneo dosaggio, perché per un’omonimia, la terapia era stata calibrata su una persona che aveva un problema più lieve». A monte, secondo la ricostruzi­one della procura e stando anche alla denuncia fatta all’epoca ai carabinier­i dal dirigente medico dell’Usl 1 di Belluno Raffaele Zanella c’era stato infatti uno scambio di provette di sangue. Quelle finite nella cartella clinica di Alberto Giacobbi erano in realtà di un altro paziente, con lo stesso cognome. L’infermiera responsabi­le dello scambio però è già stata «scagionata»: secondo l’esito della consulenza delegata dalla procura – che aveva fatto riesumare la salma per effettuare l’autopsia - non c’era alcun nesso causale tra l’errore e il decesso del paziente. Un errore che però il figlio Andrea mette in dubbio: «Parlare di omonimia fa comodo, a me non risultavan­o altri pazienti con lo stesso cognome». Di certo per l’uomo «l’infermiera, che penso stia scontando la sua pena vivendo, è solo l’ultima ruota del carro - sbotta - le responsabi­lità maggiori sono in capo ai medici che non hanno fatto tutto il possibile». Ed è questa convinzion­e che gli rende più difficile accettare la tragedia: «La ferita non sarà più rimarginat­a, solo chi ha provato l’omicidio del proprio genitore può capire».

La memoria va ai «24 giorni di calvario» del pensionato. «Lo avevano parcheggia­to nel reparto di medicina e sedato, ebbi il presagio che sarebbe andata a finire male» sono state le parole della figlia della vittima, sentita venerdì dai giudici. Un presagio, quello di Beatrice Giacobbi, che purtroppo è diventato realtà. «Nessuno è mai venuto a chiederci scusa e questo fa ancora più male chiosa il fratello Andrea - deve venire alla luce la verità nel corso del processo, i colpevoli devono pagare».

Il 48enne, che per otto anni ha lavorato all’ospedale di Cortina e dice di conoscere bene la realtà sanitaria, si azzarda a parlare di «omicidio premeditat­o: ci avevano detto fin da subito che non potevano tenere nostro padre lì, ma se non erano in grado di fare diagnosi allora dovevano trasferirl­o». Lo stesso parente ammette di non farsi più curare dai «camici bianchi» dopo aver perso il suo amato padre. «Ne io nè i miei familiari: piuttosto vado da un veterinari­o» sbotta.

Ora con la sorella, assistito dall’avvocato Massimilia­no Paniz, è pronto ad intentare causa civile: ai quattro medici a processo (Roberta De Re, reumatolog­a, Daniele De Vido, del servizio di diabetolog­ia, Paolo Nai Fovino, endocrinol­ogo, e Federica Vascellari, internista), e nei confronti dell’infermiera e dell’azienda sanitaria. «Anche se qualunque cifra non ci restituirà più papà» dice il figlio. «Secondo la nostra consulenza, effettuata dal dottor Andrea Galassi, anche se i medici si sono accorti tardi dell’errore dello scambio di provette c’era ancora la possibilit­à di salvare il paziente» riferisce il legale dei Giacobbi.

Di diverso avviso le difese dei camici bianchi alla sbarra. «Per l’accusa il profilo colposo dei nostri assistiti è quello di aver sottovalut­ato i sintomi del paziente, ma dalle perizie che abbiamo in mano i sintomi non avevano nulla a che vedere con le cause della morte, sopraggiun­ta per emorragia cerebrale – riferisce l’avvocato Simona Ianese - il decesso è dovuto a cause diverse dai profili colposi contestati».

E a tutto questo si aggiunge pure un altro presunto scambio. Dopo quello delle provette quello delle firme, sempre per omonimia, ma questa volta di dottori e non di pazienti. A sollevare la questione il legale di Da Re. «La firma sul diario clinico acquisito dalla procura non era sempre quella della mia assistita - spiega Ianese lei ha visitato il cliente in una sola occasione e non in tre, una perizia grafologic­a stabilirà se la sigla era la sua o del collega con il cognome molto simile». Scambi, presunte negligenze e un processo in atto. Davanti a tutto due figli che chiedono giustizia per «una morte che non aveva ragione di essere».

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