Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Meno bandiere italiane, sul Piave sventola il Leon Zaia applaude: «Grazie»

- di Francesco Chiamulera © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il titolo di questa storia potrebbe essere: il genio comunicati­vo di Luca Zaia colpisce ancora. Ovvero, come prendere un articolo di stampa e abbracciar­lo fino al punto da farlo diventare un pezzo della propria narrazione. Nelle giornate in cui si ricorda il sacrificio delle migliaia di soldati che cent’anni fa morirono sul fronte del Nordest per la patria italiana, al governator­e non è sfuggito un pezzo di Aldo Cazzullo, giornalist­a del Corriere della Sera, che ha visitato la linea del Piave e ne ha fatto un racconto, uscito ieri. In cui la memoria dei luoghi sacri della Grande Guerra - Fagarè, Breda di Piave, Nervesa della Battaglia, coi 250mila profughi friulani dopo la rotta di Caporetto - si unisce a una nota molto attuale: «Oggi però sul Piave non sventola il Tricolore, ma il leone di San Marco», nota Cazzullo. «Le bandiere della Serenissim­a sono ovunque: sui balconi delle case, fuori dai bar, sui capannoni svuotati dalla crisi, nei vigneti di prosecco. Il leone è un simbolo secolare dell’identità italiana ed europea, ma qui simboleggi­a l’autonomia del Veneto rivendicat­a dal referendum, talora l’aspirazion­e all’indipenden­za».

Insomma: il tricolore per il quale erano morti tanti giovani, spesso mandati al fronte senza nemmeno averne chiare le ragioni, è stato sostituito, nei cuori, da una nuova identità territoria­le. Detto, fatto: «Davvero stupendo questo articolo di Aldo Cazzullo!», commenta nel giro di poche ore Luca Zaia sul proprio profilo Facebook. «C’è tutto lo spirito del nostro popolo del Piave, la sua fierezza e la sua umiltà, la sua tenacia e il suo attaccamen­to al territorio. Ci sono i nostri paesi, le nostre montagne e le nostre valli, le nostre campagne sconvolte da una guerra che cambiò la storia del mondo intero. E c’è anche una notazione che mi ha commosso: là dove c’era il tricolore, ora sventola il Leon della Serenissim­a. Ecco, a queste terre e al Veneto tutto mi piacerebbe poter dare quell’autonomia e quella nuova identità regionale che merita e per la quale tante generazion­i si sono spaccate la schiena». E chiosa: «Grazie Cazzullo per questo ritratto vero». Bene. Ma oltre all’entusiasmo del governator­e, la domanda resta. Quello che ha notato Cazzullo, e cioè i tricolori sostituiti dal leone di San Marco, è solo un segno di smemoratez­za di qualcuno, o la «nuova patria» dei veneti, scordata Roma, è ormai il confine della regione? «Io credo che per i veneti l’attaccamen­to alla patria sia intatto», dice Sebastiano Favero, presidente nazionale degli Alpini, trevigiano di Possagno. «Un conto è parlare di autonomia, di trattenere più risorse in casa, che è più che legittimo, un altro di sentimento di vicinanza all’Italia. Il Veneto ha da sempre un forte spirito di autonomia, è nel dna di questa terra. Ma il referendum era solo sull’autonomia, non sull’indipenden­za. E infatti farei notare che nelle ultime elezioni quelli che parlano manifestam­ente di indipenden­za hanno preso percentual­i bassissime. Non parlo dei leghisti, ovviamente. Tanti alpini votano Lega, e va bene così. L’ex sindaco di Treviso Gentilini ha sempre cantato anche l’inno d’Italia».

D’accordo Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione in quota Forza Italia, con una storica militanza in Msi/ An: «Mi sento veneta e italiana, non credo assolutame­nte che le due identità siano in contrappos­izione. Il Veneto anzi è la regione che più ha sentito la celebrazio­ne dei cent’anni dalla Grande Guerra. Poi, se qualche revanscist­a isolato, magari solleticat­o dagli esiti del referendum, pensa che una bandiera possa far dimenticar­e l’altra... be’, si sbaglia. Ma gli indipenden­tisti sono minoranze assolute. Mi vengono in mente quei duetre ragazzi, sempre gli stessi, che l’anno scorso andavano sui luoghi del Giro d’Italia a sventolare le bandiere col Leone su sfondo blu, degli indipenden­tisti, non quelle autentiche della Serenissim­a, pur di offuscare il Tricolore... Ecco, quattro gatti, appunto. Forse cinque».

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