Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Pivatelli, Da Costa e il ‘58: «In pianto come Buffon»
MONDIALI ADDIO I VENETI DI BELFAST
VENEZIA Lo spareggio che ha visto l’Italia mancare l’accesso ai Mondiali riporta alla memoria il precedente del 1958: azzurri sconfitti dall’Irlanda del Nord, con due veneti, ora unici testimoni, in campo.
VERONA Si erano incontrati quasi per caso. Uno veniva da Sanguinetto, profonda bassa Veronese: campi e nebbie, gente di fatica e di albe passate tra semine e raccolti.
L’altro era cresciuto tra le luci dipinte dal sole di Rio de Janeiro, il rumore festoso del Brasile, samba e sorrisi, benché la vita non fosse semplice per uno dei sette figli di un autista di filobus che sbarcava il lunario nel traffico della metropoli. Gino Pivatelli e Dino Da Costa erano insieme nel freddo del Windsor Park di Belfast e ora sono gli unici due testimoni di quella partita. «Si tremava, non c’era abituato nessuno. E io meno ancora», racconta oggi Da Costa, 86 anni compiuti in agosto. Segnò lui il gol che diede all’Italia la speranza di non perdere il treno per il Mondiale svedese, quel 15 gennaio 1958. Pochi mesi dopo un diamante avrebbe scheggiato il cielo sopra il Råsundastadion, a Solna: Edson Arantes do Nascimiento, in arte Pelè, nacque calcisticamente dove non c’erano tracce di azzurro. Perse per 2-1 a Belfast, sconfitta dall’Irlanda del Nord, l’Italia, e al Mondiale non ci andò, com’è successo sessant’anni dopo, con l’eliminazione – il caso ha voluto – patita con la Svezia. «Adesso si dice che la colpa è dei troppi stranieri. Allora si sosteneva che il guaio erano gli oriundi», ricorda Da Costa, che al tempo giocava in attacco per la Roma e che, viste le origini italiane, era stato selezionato dal ct Alfredo Foni, com’è avvenuto per Jorginho oggi.
Da Costa, nel 1966, arrivò all’Hellas e a Verona si fermò. Capita di incontrarlo al mattino mentre passeggia vicino al Bentegodi. Nel Verona invece era cresciuto e aveva debuttato Gino Pivatelli, prima di passare al Bologna e di vincere una Coppa dei Campioni con il Milan. «Il pianto di Buffon mi ha ricordato il mio di 60 anni fa. Quel magone lì me lo porto ancora dentro, giuro», racconta ora «Piva», 84 anni splendidamente portati. Vestiva la maglia numero 9, a Belfast, Gino. Portava la 11, Dino. Quella divisa tinta con il colore dei Savoia che non ci fu in Svezia e che non si vedrà nemmeno in Russia. «Il calcio è fatto di cicli, si sale e si scende. Di certo, un Mondiale senza l’Italia è vuoto, come se a mancare fossero Brasile o Argentina», dice Da Costa. Solo una volta vestì la casacca della Nazionale. Una partita, un gol. Oriundo, dunque, lui con Alcides Ghiggia e Juan Alberto Schiaffino. «Ghiggia fu espulso, il risultato era già sul 2-1. Noi avevamo scontato parecchi infortuni e non stavamo bene. Bastava un pari, finì che ci batterono». Ci fu un diluvio di polemiche, per quanto i tempi dei social e dell’assalto mediatico 24 ore su 24 fossero ben di là da venire. «Anche all’epoca, però, ci svegliammo coi giornali che ci picchiavano sopra. Non sono bei momenti, sportivamente parlando. Oggi come allora bisogna provare a ripartire con tranquillità», sospira Pivatelli. Come Da Costa, il suo esordio fu accompagnato da un gol: «Con la Germania Ovest, a Stoccarda, 2-1 per noi. La mia rete fu decisiva». Al contrario, il colpo di Da Costa, rivisto nelle immagini dell’Istituto Luce (con la retorica incantevole dell’epoca che parla di un’Italia con «frombolieri con le polveri bagnate e la mira fasulla»), fu solo un’illusione, consumata nel vento di Belfast.
Dino lì iniziò e lì finì con l’azzurro sabaudo che sabaudo non era più, in un paese che si avviava a superare le sofferenze del dopoguerra e vedeva avvicinarsi il boom economico. «L’eliminazione di oggi è un’altra cosa — commenta — all’andata, in Svezia, l’Italia ha giocato molto male ma a San Siro avrebbe meritato di vincere. Ha sbagliato troppi gol, quando non ti vuole andare bene non c’è verso di cambiare le cose. Si dice che bisognerebbe rifare tutto ma non sempre si trovano dei campioni. Noi avevamo Ghiggia e Schiaffino, fuoriclasse che avevano vinto il Mondiale con l’Uruguay, battendo il Brasile... Quella volta con l’Irlanda del Nord, però, non bastarono. Il calcio dà, il calcio toglie». Dino saluta: è ora di pranzo. Gino, che vive a Bologna, siede in soggiorno con la moglie e legge i giornali. D’ora in avanti non si parlerà solo di loro per dire di uno smacco eterno. A volte, se entri nella storia, è meglio essere meno soli.
Dino Da Costa Ora si dice che la colpa è dei troppi stranieri, ai miei tempi il guaio si diceva fossero gli oriundi