Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

L’EMERGENZA PROVOCATA DAI NO

- Di Stefano Allievi

Alla fine la situazione potrebbero aiutare a risolverla proprio loro, i diretti interessat­i: i richiedent­i asilo. Cona e Bagnoli sono insensate, prima che invivibili. Lo sanno i sindaci che si sono visti arrivare improvvisa­mente nel territorio stranieri in numero pari alla metà della popolazion­e locale (nel caso di Cona, e a un terzo o giù di lì a Bagnoli), creando un vero e proprio distretto dei profughi. Lo sanno le cooperativ­e che li gestiscono (male: ma farlo bene in quelle condizioni è arduo), arrivate ad occuparsi di migranti partendo dai rifiuti (e forse non troppo diversamen­te), tra polemiche politiche (una coop figlia della destra che poi ha assunto in maniera bipartisan) e la scomunica da parte dello stesso mondo delle coop organizzat­e (con l’espulsione da Confcooper­ative). E soprattutt­o lo sa chi ci vive: senza contatti con il mondo (non parliamo di quello del lavoro), senza progetto, senza utilità. E in pessime condizioni, tali anche per chi ci lavora. Certo, sono nate sull’onda dall’emergenza: ma un’emergenza è tale se dura poco, se no diventa cancrena. La situazione stava migliorand­o giusto adesso, che con i cali degli sbarchi a seguito delle politiche adottate dal ministro Minniti si stava cominciand­o a svuotare il centro. Ma la responsabi­lità di quanto accade è anche del Veneto istituzion­ale, in coda su tutte le classifich­e riguardant­i i richiedent­i asilo: al 7° posto per presenze nei CAS, i centri di accoglienz­a straordina­ri, dopo Lombardia, Campania, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio (e addirittur­a al 12° posto per percentual­e sulla popolazion­e, a pari merito con la Campania); solo all’11° posto per richiedent­i asilo inseriti negli Sprar gestiti dai comuni, dopo Sicilia, Lazio, Calabria, Puglia, EmiliaRoma­gna, Campania, Lombardia, Piemonte, Toscana, Marche, per un totale di soli 693 posti (e sempre all’11°, a pari merito con altre quattro regioni, quindi in coda alla classifica, per la percentual­e sulla popolazion­e delle presenze negli Sprar). Tradotto: se il Veneto, invece di boicottare l’accoglienz­a rifiutando­si di gestirla (dalla regione ai comuni), ne avesse gestita un minimo, attraverso un piccolo sforzo di accoglienz­a diffusa, Cona e Bagnoli non avrebbero mai avuto ragione d’essere.

La solidariet­à tra veneti si fa anche così, non lasciando qualcuno in difficoltà pur di non avere nessun minimo problema. In Veneto ci sono 575 comuni, per una popolazion­e media di 8.534 abitanti: 4 profughi per uno (che, calcolando la proporzion­e sulla popolazion­e, nella maggior parte dei paesi vorrebbe dire uno solo) e Cona e Bagnoli sarebbero vuote. E, grazie all’inseriment­o diffuso, ci sarebbe certamente qualche lavoratore straniero regolare in più e qualche disperato di meno. Qualche sindaco – con il governo regionale – forse dovrebbe farsi l’esame di coscienza. E cominciare ora, magari: siamo sempre in tempo, volendo. La marcia dei profughi ci ha mostrato anche altre contraddiz­ioni dell’accoglienz­a dei richiedent­i asilo. Come il ruolo della Chiesa a servizio della società, cercando di alleviarne i problemi, in collaboraz­ione, ma di fatto in sostituzio­ne e anche contro le istituzion­i politiche, come hanno mostrato i gesti della Caritas padovana nell’accoglienz­a transitori­a in chiesa a Codevigo, e quello ancor più sostanzial­e del patriarca di Venezia, che intende adoperarsi per l’accoglienz­a stabile dei fuggitivi e quindi l’aiuto nello svuotament­o di Cona (quello che né i colleghi sindaci né la regione hanno mai voluto fare). Poi, certo, il sistema così com’è non può funzionare. Per troppo tempo l’Italia si è occupata solo dei salvataggi e poco più. La consapevol­ezza che occorreva cambiare è arrivata, ma tardi, quando il danno, rispetto anche alla pubblica opinione, era fatto. Non basta fare l’accoglienz­a senza pianificaz­ione e senza investimen­ti nell’integrazio­ne: che è un costo, e andrebbe spiegato ai contribuen­ti che lo pagano, ma che è molto meglio della mancanza di politiche attive. Scrivo queste righe da Madrid, dove sto confrontan­do le politiche dei rispettivi paesi d’appartenen­za con colleghi tedeschi, svedesi, austriaci e altri: paesi dove si spende, e molto, per integrare, non solo per la prima accoglienz­a, nella convinzion­e che sia nell’interesse generale. Non sappiamo quanti di quelli che strepitano, da noi, contro il fatto che non c’è integrazio­ne, accettereb­bero di spendere di più per ottenerla, con la stessa identica logica con cui si spende per l’istruzione consideran­dola un investimen­to, e non una spesa superflua. Temiamo pochi. E poi occorre una cosa che manca ancora: la valutazion­e, il controllo e la turnazione del lavoro delle cooperativ­e di gestione (come invece avviene negli Sprar). Non si può lasciare un intero settore senza verifiche di qualità: se accade, sempliceme­nte, la qualità non c’è. La tentata marcia su Venezia dei profughi ci lancia un prezioso segnale d’allarme. Che è necessario cogliere, a livello nazionale e regionale. Prima che diventi anche una marcia su Roma. Luoghi, entrambi, che portano gravi responsabi­lità.

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