Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«L’ex base non è un lager, neanche un hotel 3 stelle»
«Cona non è un tre stelle e io non ci vivrei, se mi chiede questo, ma è ingiusto dipingere gli italiani come carcerieri». Così il prefetto di Venezia, Carlo Boffi, l’uomo dello Stato che ha risolto il caso.
VENEZIA «Facciamo presto, vero? I telefoni continuano a squillare, non possiamo fermarci: dobbiamo sistemare tutti». Carlo Boffi, il prefetto di Venezia «in prima linea»: giovedì è corso a Bojon (frazione di Campolongo Maggiore nel Veneziano), ha imbracciato un megafono della polizia per parlare ai 200 richiedenti asilo in marcia da Cona verso il suo ufficio, a Venezia e, tornato in prefettura, ha iniziato a cercare posti liberi nelle strutture d’accoglienza.
L’emergenza è rientrata, come ci siete riusciti?
«Merito del Patriarca, lo dobbiamo tutti ringraziare, il suo intervento ha permesso di risolvere l’emergenza».
I richiedenti asilo si sono rifiutati di tornare a Cona, dicono che le condizioni di vita sono inaccettabili, hanno ragione?
«Cona non è un hotel tre stelle e io non ci vivrei, se mi chiede questo, ma è ingiusto dipingere gli italiani come carcerieri. Sono stati fatti lavori per oltre 1,6 milioni di euro, di cui 260 mila quest’estate, gli spazi sono considerevoli: 210.605 metri quadrati, 13 mila coperti e di questi 9.685 destinati a dormitori, ci sono 172 docce e 213 wc. Non è corretto chiamarlo lager».
La prefettura ispeziona con regolarità l’hub?
«Ma non solo, nel 2017 ci sono stati 2 controlli dell’Usl servizio alimentazione, 2 controlli al mese del servizio igiene e profilassi dell’Usl e, mi creda, la Regione Veneto non fa sconti. Ci sono state 2 ispezioni dei Nas, una del Dipartimento territoriale del lavoro e 2 ministeriali».
Lei però è il primo a dire che l’accoglienza diffusa in piccoli centri è migliore.
«Sì, l’accoglienza diffusa è meglio. Ma se i sindaci non vogliono, se non si trovano gli spazi, dobbiamo comunque garantire una sistemazione dignitosa. Mi rendo conto che in questa vicenda c’è stata strumentalizzazione politica ma esistono persone che ci buttano il sangue per l’accoglienza, sentirsi trattare così…». A cosa si riferisce? «Ieri (giovedì, ndr) chi ha trattato con me ha usato toni composti, mi hanno detto che è ricercatore all’Università di Padova, tra le varie parole usate, c’era: “È morta una donna (Sandrine Bakayoko, deceduta a gennaio, ndr)”. È vero, per tromboecncefalite bilaterale, non sono un medico, mio fratello lo è e mi dice che con questa patologia nemmeno se fosse stata in pronto soccorso si sarebbe salvata. Poco dopo che ho lasciato Roma, un dipendente ha avuto un infarto in Ministero, sarebbe come dire che nei Ministeri in Italia si muore».
I 200 hanno ottenuto di essere spostati, non teme che altri seguano l’esempio?
«C’è stata una particolare attenzione del ministro Marco Minniti per la situazione specifica, tesa».
Non ci sarà più lo stesso impegno?
«Dico che se non ci saranno più sbarchi, riusciremo a gestire tutto, in caso contrario saremo rovinati. E poi i 200 vedranno subito che non staranno così meglio dove vanno. Ma adesso la saluto, ne ho sistemati 92, ora devo tornare a lavorare».