Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

L’esercito degli «adatti» e gli ispiratori

- di Emilio Randon

L’altra sera, a Codevigo, al bar del parcheggio di camion c’era un anziano leghista che osservava questi neri mangiare 40 pizze ordinate da non si sa chi. Dopo averli visti mettersi in fila, aspettare pazienteme­nte, deporre i cartoni nel cassonetto..

MIRA L’altra sera, a Codevigo, al bar del parcheggio di camion c’era un anziano leghista che osservava questi neri mangiare 40 pizze ordinate da non si sa chi. Dopo averli visti mettersi in fila, aspettare pazienteme­nte, deporre i cartoni nel cassonetto e pulire tutto per bene si è rivolto all’amico vicino: «Lo vedi perché i nostri figli non combinano niente? Se solo avessero metà della determinaz­ione di questi negri non li avremmo più per casa».

Poi è vero, qualcuno a Bojon ha protestato perché dovevano chiedere a lui se potevano passare sul suo argine e altri non hanno gradito i ritmi tribali di questo strano corteo, gli slogan ritmati a passo di danza e i toni di una lingua incomprens­ibile in Costa d’Avorio e nel Burikina Faso parlano il «djoula» – eppure, alla fine della marcia, il «corteo della dignità» ha avuto successo.

Sono disciplina­ti, silenziosi, sono efficienti, erano 200 e sembravano un unico organismo vivente. Poiché è la povertà e non la pelle che ci fa paura, questi non sembravano poveri. Avevano dignità. Attraverso le roccaforti venetiste, al terzo giono, il loro corteo è diventato il defilé della qualità umana in pelle nera, così come non l’avevamo mai vista, non se fossero rimasti dentro il centro di Cona.

E s’è vista anche una sconsolant­e controprov­a di darwinismo sociale: solo 200 sui 1100 di Cona hanno aderito alla marcia, i «migliori», i più «adatti», quelli che ieri hanno vinto la sfida guadagnand­osi sul campo un posto migliore dove stare. Uno ci ha rimesso la pelle, si chiamava Salif Traova, aveva 35 anni, due mogli e sei figli ed era ivoriano, travolto da un’auto mentre cercava di raggiunger­e il gruppo in bicicletta in un incidente che nella nostra logica è una fatalità. «Figurati per loro – mi dice Aldo Romaro, sindacalis­ta dell’Unione Sindacati di Base – non sapevo come dirglielo, ho preso il coraggio a due mani e ci ho provato: «lo sappiamo già - mi hanno risposto - era uno di noi, lo sai quanti ne abbiamo persi dal Sahara alla Libia?».

Giovedì note l’esito della trattativa era ancora incerto - e per alcuni versi lo è ancora, le case non si trovano in un batter d’occhio – ma la promessa fatta dal Patriarcat­o e dalla Prefettura di Venezia aveva avuto effetto: i marcianti avrebbero rinunciato a Venezia dietro l’impegno che non sarebbero mai più tornati a Cona. Sono stati smistati nelle parrocchie di Oriago, Borbiago, Gambarare e Mira dove eravamo anche noi. A mezzanotte don Marco era sulla porta della

palestra parrocchia­le con un piatto di fagioli avanzato. Avevano mangiato, si stavano preparando per la notte con coperte, materassin­i e quanto i parrocchia­ni erano riusciti a mettere insieme nel pomeriggio.

Chi ha fatto il soldato conosce l’odore dell’umanità, ebbene qui c’era una truppa esausta con poca voglia di parlare, chi occupato a stendersi la coperta, chi a procurarse­la e quando le coperte sono finite si sono coperti con quel che c’era: dormivano sui nostri preziosi scarti del lusso, un bel cappotto in pelle di montone usato come materasso, una pelliccia di visone per guanciale. Non sembravano farci caso, della pelliccia né del modo in cui gli arriva la nostra abbondanza. Sono del Mali, della Ghinea, della Nigeria e del Senegal, parlano francese. Di permessi di soggiorno e asili politici sanno tutto, hanno i telefonini, quel che gli inte- ressa è Cona: «Non è un campo, è una prigione - dice Mohamed Ed Moctar, ivoriano - ci hanno convinto con un posto migliore per poter dormire senza problema». «Mio padre ha pagato 400 euro per farmi uscire dalla prigione in Libia. Chi non aveva soldi è stato venduto come schiavo» racconta Djan Sidibemana e non gli avremmo creduto se l’altro giorno la Cnn non l’avesse provato con un servizio terrifican­te.

La notte è passata e alle 7 di mattina tre ragazze e due signore servono il the con fette di pane Nutella e marmellata. Un bus dovrebbe passare a prenderli alle 8 ma sone le 11 e non si è visto niente, loro attendono pazienti fuori dalla palestra, si fanno tradurre i giornali che riportano la loro impresa. Ramazzano il selciato, raccolgono le carte e anche le cicche. Una compagine perfetta. «E se non lo erano lo sono diventati – spiega il sindacalis­ta Aldo Romaro – Cona funziona con le regole di una fabbrica, turni, orari, tempi, dopo un anno impari. Regole e tempi li decidono i dirigenti, chi sgarra paga. Come dico io, rende più un migrante che una vacca da latte, 30 euro al giorno per 1200 persone sono un grande business e le gare si fanno al ribasso».

Ci sono 40 biciclette da restituire ai padroni, se ne occuperà la prefettura e c’è un paio di scarpe che non si trova, se ne sta incaricand­o Basilio, il negoziante di scarpe, ma come trovarne uno col 45 di mumero? Alcuni di loro giravano con le infradito. Chi li aiuta si chiama Opzione Zero, Associazio­ne Dedalo, sono le organizzaz­ioni caritatevo­li mentre la parte «politica» resta ai centri sociali e ai sindacati di base. E siccome non esistono manifestaz­ioni spontanee – di spontaneo c’è solo il bisogno – anche questa è stata accuratame­nte preparata. La maggioranz­a a Cona aveva optato per l’occupazion­e del centro, ai nostri 200 non è bastato ed eccoli qua, vincenti. I

Il sindacalis­ta Truppe perfette? Se non lo erano lo son diventate. Cona funziona con le regole di una fabbrica, turni, orari, tempi, dopo un anno impari

meccanismi della rappresent­anza sono gli stessi della visibilità, quelli della visibilità del successo individual­e: Alexander Chamra faceva parte del Fronte Popolare in Costa d’Avorio, dopo il colpo di stato dei militari è scappato, ha lavorato in Marocco e dopo quattro anni era in Italia. A Cona ha imparato l’italiano e da alcuni mesi abita ad Annone Veneto in una palazzina di sei mini appartamen­ti. E’ un leader. Leader è anche Mohamed Kaba, giornalist­a ghanese, un collega della France Press ha raccontato la sua storia e gli si sono aperte le porte, ora abita in una casa a Chioggia.

Alberto Panfilio, sindaco di Cona – uno che per sua stessa ammissione è più nero del caligine - una cosa l’ha capita: che per liberarsi dal problema i suoi più grandi alleati sono gli immigrati, e come tali li tratta.

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Ieri la richiesta dei migranti di lasciare Cona per strutture migliori è stata accolta e i profughi sono stati smistati in altre province (foto Errebi)

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