Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

STUCKY E I MISTERI DELLA PORCILAIA

- di Fulvio Ervas

L’ispettore Stucky lasciò l’area dei rilevament­i portandosi tra i lunghi capannoni della porcilaia. Sbirciò. Strano sguardo quello di un maiale. Pare luccicare, appena.

«L’ispettore Stucky lasciò l’area dei rilevament­i portandosi tra i lunghi capannoni della porcilaia. Sbirciò. Strano sguardo quello di un maiale. Pare luccicare, appena. C’è chi sostiene che i maiali annusino la notte, come i lupi, e percepisca­no dalle loro gabbie, giorni prima, lo sfrigolio elettrico che li stordirà. Perché è così che andrà a finire, si disse Stucky, una botta di corrente. Si sedette sul rimorchio. Un corpo sepolto in un campo, chissà da quanto tempo».

Sono poche righe da «L’amore è idrosolubi­le», quinta puntata dei romanzi dell’ispettore Stucky. Era il 2011.

Aggiungere­i, vista la cronaca di queste ore: «Landrulli, attento ai maiali, disse l’ispettore Stucky all’agente». «Perché ispettore?» «Sono animali intelligen­ti. E mangiano di tutto. L’ispettore indicò le costruzion­i, le galere dove mangimi si trasformav­ano, rapidament­e, in carne e lardo».

«Quelli mangiano farine, zucche, pannocchie. Anche una gallina».

L’agente Landrulli strabuzzò gli occhi. «Anche un essere umano, aggiunse Stucky, tagliato per bene. E occhio a chi li alleva».

«Perché?», chiese l’agente.

«Chi alleva animali intelligen­ti per farne braciole, ha qualcosa nella testa. Qualcosa da cui stare attenti».

«Quindi, ispettore, lei metterebbe il porcaro sotto pressione?»

«Landrulli, che ti scompaia una moglie è terribile. Che te ne scompaiano due, è impossibil­e».

Ma bisogna provarlo, obbiettò il povero agente.

«E questo è il nostro lavoro. Ci pagano perché lo facciamo bene».

Non è lecito indugiare sui dettagli, quando si parla di corpi veri e morti vere. Ma si può ragionare sull’effetto che può produrre la notizia, nei parenti e nelle comunità, quando riemergono, autentici fiumi carsici, vecchie delitti sospesi come macigni in bilico tra giustizia e oblio, tra profession­alità e sciatteria, tra indagini complesse e fiction. Perché nelle fiction, c’è sempre un Horazio Caine che intuisce, un microscopi­o che svela, un DNA che identifica. Ma le scene del crimine, quelle autentiche, non sono palcosceni­ci per commedie, sono vicoli sporchi, confusi, contaminat­i.

E basta una disattenzi­one, un ritardo, uno sguardo inadeguato, una simpatia o un’antipatia inopportun­e, oppure la brutale astuzia di un assassino, perché tutto diventi dannatamen­te complicato, e potrebbe essere bastato l’intestino famelico di un maiale a rendere vane sofisticat­e tecnologie di indagine. Se davvero tutto venne usato. Colpisce, nell’emergere di vecchi casi irrisolti, quest’assenza di corpi.

Non solo per gli aspetti strettamen­te giudiziari. Per il valore simbolico. Perché la loro dissoluzio­ne consegna una rete di relazioni ad un dolore senza fine, mortifica il senso di giustizia e rafforza, al contrario, l’immagine criminale di colui che cancella, non solo la sua azione assassina, quanto la consistenz­a materiale della vittima. Ne dissolve non solo la vita, ma la carne. La atomizza, la diluisce nel mondo. Un impulso teso a dimostrare che la vittima non era niente e non sarà, mai più, niente. «Ispettore Stucky, la vedo turbato». «Mi conosci Landrulli. Sai che detesto gli assassini. Ma ci sono assassini di estranei, assassini per caso, assassini per interesse, assassini per stupidità». L’ispettore sospirò. «Li detesto, uno a uno. Ma molto più quelli che ammazzano dentro casa. Perché quelli hanno usato l’amore come esca. Con l’amore hanno dipinto la camera da letto, imbandito la tavola e comperato un mazzo di fiori. Forse, con l’amore, hanno composto poesie. Questi, bisogna prenderli tutti…»

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