Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Bpvi, quei beni dirottati e il sequestro mai fatto per le «bugie» a Consob

Così il gip diede via libera ma per la procura ora è tardi

- Andrea Priante © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Breganze Ha venduto i terreni nel Veronese Macola Ha donato ai figli le case di Padova

VICENZA Sono le 12.29 del 21 agosto 2015, quando i finanzieri che indagano sul crac della Popolare di Vicenza annotano una telefonata tra l’ex vicedirett­ore generale Emanuele Giustini e la moglie. Il manager dice «di voler spostare i suoi soldi dal suo conto corrente proprio» e nel brogli a cc i o gl i i nvesti gatori specifican­o che lo farebbe «per evitare il sequestro preventivo». Durante la conversazi­one, confida «di voler spostare i suoi soldi un po’ su Betti e un po’ su Ga b r i » e quando l a mogl i e chiede «perché non spostare i soldi su di lei», Giustini dice che «non conviene perché essendo sua moglie potrebbero aggredire anche i suoi beni».

La telefonata dimostra l’attività frenetica messa in moto da alcuni degli indagati per sbarazzars­i di tutto ciò che la procura avrebbe potuto sequestrar­e. L’inchiesta pubblicata domenica dal Corriere ha svelato che Gianni Zonin non è l’unico ad avere intestato i propri beni al figlio e alla consorte. Anche diversi consiglier­i hanno dato inizio alle dismission­i: da Marino Breganze che ha venduto dei terreni nel Veronese, ad Andrea Monorchio che ha donato ai figli le proprietà che possedeva a Roma; da Giorgio Colutta che ha costituito un fondo patrimonia­le con «vincolo per fini meritevoli» in favore dei familiari (scelta, quella del fondo patrimonia­le, fatta anche da Giovanni Dossena e Giuseppe Zigliotto), a Maria Carla Macola che ha donato ai figli gli appartamen­ti che possiede a Padova riservando­si il diritto di abitazione; fino a Gianfranco Pavan (che liquida il patrimonio a favore dei familiari) e all’ipoteca da 250 mila euro messa da Roberto Zuccato su alcuni immobili che però – assicura l’ex presidente regionale di Confindust­ria – sarebbe servita a «ottenere la liquidità necessaria al pagamento delle pesantissi­me sanzioni Consob e Bankitalia».

Di certo, c’è che il 18 gennaio 2017 la procura di Vicenza aveva tentato la strada del sequestro, mettendo nel mirino i beni dell’ex dg Samuele Sorato, del suo vice Giustini e della stessa Banca Popolare di Vicenza. I pm chiedevano al gip l’autorizzaz­ione a bloccare 106 milioni e 12.687 euro, che corrispond­ono all’importo aziona- rio sottoscrit­to nel corso dell’aumento di capitale del 2014 con modalità non corrette, ad esempio dietro il «consiglio» dei funzionari della banca. Il reato sta dietro alle comunicazi­oni inviate a Consob dalla Popolare di Vicenza: secondo gli investigat­ori, Sorato e Giustini avrebbero fornito all’ente una serie di rassicuraz i o ni r i ve l a te s i false, come quella che la banca non avrebbe fatto alcuna «raccomanda­zione» ai clienti affinché acquistass­ero i titoli, o assicurand­o che Bpvi «si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziame­nti finalizzat­e alla sottoscriz­ione di azioni». Esaminando le prove, nel decreto depositato il 18 maggio - quindi oltre quattro mesi dopo la richiesta della procura - anche il gip definisce «sussistent­e il fumus degli illeciti dedotti in relazione alle informazio­ni trasmesse da Bpvi alla Consob». Ed è proprio l’ispezione avviata dall’Autorità di vigilanza nel 2015 ad avere «consentito di accertare la falsità e artificios­ità del quadro informativ­o fornito dalla Banca» in relazione «alle modalità di adesione dei soci all’operazione di aumento di capitale e all’assistenza finanziari­a garantita dalla stessa Bpvi a una parte dei sottoscrit­tori».

Per il gip, «l’occultamen­to di tali circostanz­e ha consentito alla banca di conseguire un risultato che altrimenti non sarebbe in alcun modo stato raggiunto se Consob fosse intervenut­a con le dovute misure correttive».

Quindi via libera al sequestro dei beni di Giustini, Sorato e della banca? In realtà, le cose non sono andate come si auguravano i pm. Il gip ha sostenuto –e la Cassazione poche settimane fa gli ha dato implicita- mente ragione – che si poteva procedere con il sequestro dei 106 milioni «quale profitto diretto del reato» (e non alla confisca «per equivalent­e») ma ha anche dichiarato la competenza del tribunale di Milano perché da parte della Direzione generale della banca c’era «l’esasperata volontà di raggiunger­e il pieno successo dell’aumento di capitale 2014, obiettivo verso cui solo era diretta la falsa informazio­ne a Consob». Insomma, le comunicazi­oni falsanti trasmesse alla Commission­e nazionale per le Società e la Borsa (che ha sede a Milano) sono un reato a sé stante, scollegato dall’ostacolo alla vigilanza di Bankitalia (per il quale ha competenza Vicenza).

La procura berica ha presentato ricorso, e il 7 dicembre toccherà alla Cassazione stabilire chi debba procedere con questo filone dell’inchiesta.

Nel frattempo, però, i sequestri sono rimasti congelati con il risultato che oggi la Popolare, per come la conoscevam­o, non esiste più: «La Bad company non ha più sostanze, mentre la parte buona acquistata per decreto è esente», ha spiegato il procurator­e Antonino Cappelleri alla Commission­e parlamenta­re. Quindi non c ’è più niente da confiscare. Il magistrato è pessimista: «Oramai temo che uno strumento concreto e efficace non lo abbiamo più in mano».

L’unica possibilit­à è che i liquidator­i chiedano dei sequestri cautelativ­i che sventino i tentativi degli vertici della Vicenza di «nascondere» i loro beni con varie operazioni. Ma ancora non è stato fatto.

 ??  ?? In assemblea Gli ex amministra­to ri Bpvi dell’era Zonin davanti all’assemblea dei soci riunita in fiera a Vicenza
In assemblea Gli ex amministra­to ri Bpvi dell’era Zonin davanti all’assemblea dei soci riunita in fiera a Vicenza

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy