Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Baratta: la Biennale ricrea una comunità di incontri e dialoghi
Apoche ore dalla chiusura della 57esima Esposizione internazionale d’arte, Paolo Baratta, presidente della Biennale, ha più di un motivo di soddisfazione. E nel suo studio a Ca’ Giustinian, affacciato sul bello della laguna e su una Salute splendente, li mostra tutti orgoglioso. I numeri, prima di tutto: 615mila visitatori in sei mesi per una mostra d’arte contemporanea, che segnano un +23% rispetto alla Biennale di due anni fa; le percentuali, tutte col segno più e una in particolare, quel 31% di visitatori giovani che dice bene, al di là delle cifre, quanto «viva» sia stata la Biennale firmata dalla francese Christine Macel. Ma c’è molto altro in questo giorno di bilanci per un presidente alla settima Biennale d’arte archiviata (dal ‘99). Ed è la voglia di rivendicare un ruolo preciso per la Biennale, «in un mondo che cambia continuamente».
Presidente cosa la rende più orgoglioso?
«In un periodo in cui le manifestazioni come questa avvertono dei cambiamenti di fondo nell’atteggiamento delle persone, del pubblico, delle comunità, in anni di messa in discussione dell’arte contemporanea, aver ottenuto questo grande consenso di pubblico , mi fa dire che i nostri indirizzi non sono sbagliati. Non sto facendo un discorso populista, sto invece cercando i rimedi al populismo. E tra i rimedi vedo tutto ciò che può rafforzare l’attrezzatura dell’individuo di fronte al più grave dei pericoli che c’è oggi: quello della “sovrasemplificazione”. Si rifiuta la complessità e questo rifiuto è lo spegnimento della cultura. E allora come conciliare desiderio di individualità e riconoscimento della complessità della vita, del mondo e di tutto ciò che ci circonda è il tema di oggi. Se l’individuo si perde nella sua solitudine delle cose troppo semplici, cade nella rete del potere che sfrutta il vittimismo, la questione
Dopo la chiusura I pericoli sono ignoranza e individualismo I giovani devono scoprire l’importanza del dialogo che in rete è assente
d’identità, il ridurre tutto a paure e timori. Se invece il pubblico viene vuol dire che il messaggio è colto: non si spaventano più».
In «Contro le mostre», Tomaso Montanari e Vincenzo Trione mettono sotto accusa la Biennale.
«Sono contro ogni atteggiamento che non ha fiducia nel pubblico. Poi ognuno può scrivere le cose che desidera e più si discute meglio è. Però io sono comunque alla ricerca di artisti italiani non dell’arte italiana. E poi per fare alcune cose c’è la Quadriennale, ma non ne sento parlare».
L’Italia quest’anno avrebbe meritato di più?
«Mi preoccupa sempre sentire parlare di arte italiana o cinematografia italiana. Quest’anno hanno avuto il coraggio di scegliere progetti che valorizzassero al meglio lo spazio. Invece mi preme di tornare al tema del pubblico: anche Kassel ha sviluppato l’idea secondo la quale la curatela e il curatore è una specie di sacerdote che invita il popolo a una cerimonia di meditazione e redenzione perché i mali del mondo sono rappresentati dagli artisti, che sono dei rivoluzionari. Di là è un sacerdozio di stampo rivoluzionario-luterano; però anche il sacerdozio gesuitico che dice che le opere vanno passate prima dal giudizio dei critici, non mi soddisfa».
Le insiste molto sull’importanza di vedere l’arte.
«Il problema è quello del “cimento” dell’individuo. E questo è tanto più importante nell’epoca di Internet: più si va verso l’individualismo più occorre riarmare culturalmente l’individuo: individualismo più ignoranza è la fine dell’uomo. Servono strumenti che consentano di uscire da Internet e andare a vedere le cose. Le nuove generazioni pensano che Internet sia una comunità, che ti consenta il dialogo. Devono realizzare che non è così, la comunità è fatta di dialoghi diretti e il dialogo o l’opera d’arte comporta una tua presenza e non solo una rappresentazione duplicata».
Dopo una Biennale così, cosa succede?
«Dobbiamo far fronte a nuovi problemi. Bisogna adeguare i servizi alla massa di visitatori, soprattutto nel Padiglione centrale ai Giardini. Ai Giardini dovremo allargarci dietro il padiglione dei libri per la ristorazione e con un finanziamento di 5 milioni del ministero andremo avanti col restauro delle Sale d’Armi sud all’Arsenale. Sempre all’Arsenale vanno fatti tutti gli impianti centrali. Poi sarebbe bello allungare gli orari tutti i giorni d’estate, se non lo facciamo è per non gravare sui Paesi con gli straordinari».
L’esperimento della Biennale a Mestre si rifarà?
«Certo, le curatrici di Architettura - Yvonne Farrell e Shelley McNamara - sono già al lavoro per un progetto su Forte Marghera. Noi speriamo sempre che i mestrini poi vengano a vedere tutta la Biennale, anche in laguna».