Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA RIFORMA DELLE RIFORME

- Di Sandro Mangiaterr­a

Ha voglia Ernesto Maria Ruffini, nuovo direttore dell’Agenzia delle entrate, a parlare di fisco amico. Per tutta risposta, la Cgia di Mestre ha messo il dito nella piaga: l’ipertrofia fiscale non accenna a diminuire. Anzi. Nel 2016 sono stati pubblicati 11 leggi o decreti legge, 36 decreti ministeria­li, 72 provvedime­nti della stessa Agenzia, cui si sono aggiunte 50 circolari e 122 risoluzion­i, per un totale di oltre 2 mila pagine di norme, cavilli e codicilli. Il risultato è nello stesso tempo tragico e paradossal­e. Mentre da destra e da sinistra si innalza la bandiera della riduzione delle tasse, il Def (Documento di economia e finanza) spiega che la pressione fiscale è addirittur­a destinata ad aumentare: dal 42,3 per cento di quest’anno al 42,8 previsto per il 2018. Non basta. A dispetto dei tanti discorsi sulla semplifica­zione, l’Italia arretra nella classifica Doing business, fare business, della Banca mondiale, scendendo dalla quarantaqu­attresima alla cinquantes­ima posizione. E in particolar­e sprofonda al 126° posto proprio alla voce «procedure per pagare le tasse»: le scadenze sono 210 e richiedono 240 ore di lavoro (perso).

Insomma, la riforma più necessaria è quella che nessuno riesce a fare: un intervento drastico per ridurre la burocrazia. Da qui la decisione degli artigiani del Nordest, da sempre in prima fila in questa battaglia, di tornare alla carica.

Sul tappeto alcune mosse «difensive» (legali: a partire dal pagamento delle fatture l’ultimo giorno utile, con le conseguenz­e del caso sui versamenti dell’Iva), ma soprattutt­o una serie di proposte concrete (per esempio, l’abolizione delle disposizio­ni che limitano la compensazi­one automatica fra crediti e debiti). È evidente che la ripresa non può fare i conti con un apparato burocratic­o fermo a cinquanta se non a cento anni fa. Certo, l’Italia ha il buco nero dell’evasione fiscale: peggio di noi, tra i Paesi dell’Ocse, solo Grecia e Messico. Ma chi svolge un’attività d’impresa finisce per ritrovarsi tra due fuochi: da una parte la caccia ai furbi, dall’altra l’inefficien­za della pubblica amministra­zione. La Cgia ha messo le cifre in fila. L’evasione, stando al governo, è pari a 117 miliardi. Bene, secondo gli artigiani di Mestre i danni prodotti dall’inadeguate­zza della pubblica amministra­zione sono persino superiori. Nel dettaglio, i debiti nei confronti dei fornitori ammontano a 64 miliardi, il peso della burocrazia sul sistema aziende è stimabile in 31 miliardi, gli sprechi e la corruzione nella sanità valgono 23,6 miliardi, la lentezza nella giustizia civile 16. La somma è di 134,6 miliardi. E questo senza parlare delle carenze infrastrut­turali. Se abbiamo ricomincia­to a crescere vuole dire che siamo davvero bravi.

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