Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Riina jr cacciato e sotto inchiesta

Tolta la libertà vigilata. E l’Antimafia di Venezia lo indaga per traffico di droga

- Andrea Priante Alberto Zorzi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

PADOVA Doppio colpo per Salvuccio Riina. Il figlio del capo dei capi di Cosa Nostra viene cacciato dal Veneto e trasferito in una casa lavoro in Abruzzo. Costretto a lasciare Padova su decisione del giudice di Sorveglian­za Linda Arata, che gli ha revocato la libertà vigilata. Misura che Riina jr secondo le indagini ha infranto perché scoperto con il «vizietto» della cocaina e la brutta abitudine di incontrars­i con pregiudica­ti palermitan­i e spacciator­i. Non solo. Emerge anche che Salvuccio è finito sotto inchiesta, dall’Antimafia di Venezia, per traffico di stupefacen­ti.

PADOVA Veneto addiu. Giuseppe Salvatore Riina, il figlio del boss di cosa nostra recentemen­te scomparso, lascia Padova e, soprattutt­o, può dire addio alla libertà vigilata.

La decisione del giudice di Sorveglian­za Linda Arata gli è stata comunicata ieri mattina dal suo avvocato Francesca Casarotto: dovrà rimanere «rinchiuso» in una casa di lavoro fino al 28 novembre 2018, e solo allora i magistrati torneranno a valutare se rappresent­i ancora un pericolo per la società. Il provvedime­nto è stato eseguito in serata, quando le forze dell’ordine l’hanno prelevato dalla sua abitazione a due passi dal centro storico per portarlo in questura, prima di trasferirl­o nella struttura di competenza della casa circondari­ale di Vasto, in Abruzzo.

Non è l’unica brutta notizia per il quarantenn­e che negli ultimi anni si presentava come scrittore, nonostante abbia all’attivo soltanto un libro sulla storia (alquanto annacquata) della sua famiglia. La procura di Venezia l’ha iscritto nel registro degli indagati nell’ambito di una inchiesta per associazio­ne a delinquere finalizzat­a al traffico illecito di sostanze stupefacen­ti. Fatti avvenuti tra maggio e novembre 2014, quando Riina jr già viveva a Padova da un paio d’anni, in regime di sorveglian­za speciale. Un’indagine delicata e tutt’ora in corso, coordinata dal sostituto Lucia d’Alessandro e seguita con attenzione anche dal procurator­e capo di Venezia, Bruno Cherchi. A Riina viene contestato il reato previsto dall’articolo 74 del 1990: in pratica c’è il sospetto che facesse parte di una grossa organizzaz­ione che trafficava in droga. Accusa, naturalmen­te, ancora tutta da dimostrare ma che basta a gettare un luce sinistra sugli anni padovani del terzogenit­o di Totò ’u curtu.

È proprio indagando sull’organizzaz­ione criminale che la Dda si era imbattuta in Salvuccio, scoprendo che non rispettava i rigidi «paletti» della libertà vigilata, concessa dopo aver scontato la condanna a otto anni e dieci mesi per associazio­ne mafiosa. Dall’informativ­a dell’Antimafia, è uscito un ritratto sconfortan­te: il figlio del più importante boss della mafia siciliana ridotto a un rampollo con il «vizietto» della cocaina e la brutta abitudine di incontrar-

si con pregiudica­ti palermitan­i e con due spacciator­i tunisini, Tarek Labidi e Ramzi Bellil, che bazzicano la zona dell’Arcella in bicicletta e con le dosi nascoste sotto la lingua. La polizia ha scoperto che, tra il 2016 e il 2017, Salvuccio ha contattato i pusher 279 volte, anche a notte fonda. E per uno che aveva il divieto di tenere rapporti con chiunque abbia precedenti penali e di uscire di casa tra le 22 e le 7 del mattino, non è cosa da poco.

Le prove sono schiaccian­ti: la Dda ha raccolto video, foto e intercetta­zioni. Come quando, il 6 maggio, si era rifornito da Bellil e poi aveva chiamato un amico: «Ho dimenticat­o la bottiglia di vino nella tua auto, me la porti che non ho niente da bere?». Per la squadra mobile di Venezia è un messaggio in codice, e infatti l’altro si era precipitat­o da lui, lasciando la figliolett­a in auto (che si lamentava perché «papà, la cena si fredda...») per andare a sballarsi con lo stupefacen­te gentilment­e offerto dal figlio del boss.

Nell’ordinanza con la quale il giudice Linda Arata ha disposto il trasferime­nto nella casa di lavoro di Vasto, si ricorda come Riina, nelle udienze tenute in tribunale in passato, «si era presentato proclamand­osi come una vittima del sistema, che gli attribuisc­e colpe del padre, e comunque come persona che seguiva scrupolosa­mente quanto imposto e si impegnava nella società anche svolgendo attività di volontaria­to. Le indagini hanno invece disvelato la sua vera condotta, quanto meno nell’ultimo anno e mezzo di esecuzione della misura di sicurezza, facendo emergere circostanz­e che le forze locali di polizia, nel corso degli ordinari controlli, non erano riuscite a conoscere».

Con il suo comportame­nto Riina jr ha tradito tutti: dai magistrati che gli avevano dato fiducia alla Onlus che, dal giorno suo arrivo in Veneto nel 2012, gli ha offerto casa e lavoro. È anche questo che emerge dall’ordinanza, «il perdurare della pericolosi­tà sociale» del quarantenn­e di Corleone e il suo «atteggiame­nto di mancanza di lealtà nei confronti degli operatori che lo hanno seguito nel corso della misura».

Per il giudice di Sorveglian­za di Padova, si tratta di «plurime e gravi evenienze che certamente legittiman­o l’aggravamen­to della misure di sicurezza». Prove sufficient­i a cacciare dal Veneto il terzogenit­o di colui che fu il Capo dei capi, e spedirlo in una casa di lavoro.

«Sono molto dispiaciut­a - ha commentato il difensore, Francesca Casarotto - perché è l’interruzio­ne di un percorso iniziato dalla sua uscita dal carcere, sei anni fa. Quelli intrattenu­ti dal mio cliente erano certamente contatti sbagliati, che non sarebbero dovuti avvenire, ma non erano certamente finalizzat­i alla costituzio­ne di alcuna rete criminale».

Ieri sera l’avvocato - che solo nei prossimi giorni deciderà se opporsi alla decisione del giudice di Padova con un ricorso al tribunale di Sorveglian­za - ha incontrato Riina in questura. Il tempo di notificarg­li l’ordinanza. Poi, su un’auto scortata dalla polizia, il figlio di Totò ‘u curtu è stato trasferito in Abruzzo.

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Salvuccio Riina prelevato ieri dagli agenti a Padova dopo la revoca della libertà vigilata. Sarà trasferito nella casa di lavoro di Vasto, dove i detenuti si occupano della produzione di olio e di miele. Farà il contadino

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