Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Lui ammette tutto «Basta far soffrire mamma Ninetta»

- Di Andrea Priante

«La coca la usavo per gestire lo stress». Lo ammette Salvatore Riina, figlio del capo dei capi di Cosa Nostra, recentemen­te scomparso. Che all’udienza si era sfogato. «Dopo la morte di mio padre sono cambiato. Non voglio che mia madre soffra ancora».

VENEZIA Non tutti sanno cos’è la casa lavoro, la struttura in cui il giudice Linda Arata ha ordinato il trasferime­nto di Riina jr. Secondo il codice penale, la casa lavoro rientra in quella categoria definita come «misura amministra­tiva di sicurezza». L’obiettivo di questi istituti è di reinserire il detenuto nel tessuto sociale, anche attraverso l’obbligo di lavoro. Il caso più frequente di assegnazio­ne è quello che fa seguito alla pena detentiva carceraria, in quanto il pregiudica­to viene considerat­o ancora socialment­e pericoloso. Giuseppe Salvatore Riina è stato assegnato alla casa di lavoro di Vasto, in Abruzzo. Il sito del ministero della Giustizia, spiega che dal 27 maggio 2013 la struttura è stata trasformat­a in casa di lavoro con annessa sezione circondari­ale e che sono presenti 180 tra internati e detenuti. Il carcere è collocato nella Riserva di Punta Aderci, la prima Riserva istituita in Abruzzo nella fascia costiera. Dotata di campo sportivo, palestra e teatro, i detenuti vengono impiegati soprattutt­o nell’azienda agricola, per la produzione di olio d’oliva, di miele, o nella gestione delle quattro serre dove si coltivano funghi e ortaggi. Un tempo l’opera dei detenuti era a titolo gratuito, ma ora viene incentivat­a grazie a borse lavoro erogate dal comune di Vasto che «premia» chi lavora alla salvaguard­ia della riserva.

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