Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Gli affari dei boss «Non vengono qui per caso»

L’INFILTRAZI­ONE DAL CONFINO ALLA LATITANZA Naccarato (Pd): «Salvuccio, caso sottovalut­ato». I numeri e le presenze

- Di Giovanni Viafora

Èlungo l’elenco dei boss mafiosi transitati per il Veneto. Dall’epoca del confino a quella, ultima, della latitanza. Gli affari, i traffici, i contatti. «Non sono mai qui per caso», dice l’onorevole Pd Alessandro Naccarato. Come è stato per Riina jr.

Molti degli ignari cittadini di Cadoneghe, poco più di 15mila abitanti a Nord di Padova, si resero conto di aver vissuto per anni a fianco di uno dei più pericolosi boss della mafia solamente all’indomani del suo decesso, avvenuto il 28 aprile del 2011. L’uomo si chiamava Antonino Duca e quando morì, stroncato in casa ai domiciliar­i da un infarto dopo la solita ampia colazione, aveva 70 anni: per decenni era stato affiliato a Cosa Nostra; quindi, finito in Veneto grazie al soggiorno obbligato, aveva finito per rimpolpare le fila della Mala del Brenta di Felicetto Maniero.

Salvuccio Riina non è stato il primo uomo di mafia a passare da queste parti, nè sarà l’ultimo. D’altronde il Veneto è stata (ed è) terra di conquista delle associazio­ni criminali. Il vulnus viene proprio dal passato. Soggiorno obbligato, è la chiave o, volgarment­e, «confino». Cioè quello che è stato, per attingere alla pacatezza del magistrato anti-mafia Nicola Gratteri, «il più grosso errore del legisponde slatore italiano nella sua storia». Non a caso così scriveva, negli anni dell’emergenza, il settimanal­e della Diocesi di Belluno, L’amico del popolo: «È come diffondere una epidemia spostando i germi patogeni nei vari organismi sani; è come la metastasi del cancro, che viene ad intaccare inesorabil­mente i tessuti sani». Tra gli anni Settanta e Ottanta, la presenza contempora­nea dei grandi boss all’esilio come Totuccio Contorno, Gaetano Fidanzati, Salvatore Badalament­i (nipote di Gaetano, capomafia di Cinisi e mandante dell’omicidio di Peppino Impastato) aveva permesso sostanzial­mente alle mafie di conquistar­e in Veneto il mercato della droga (corsi e ricorsi...). Fidanzati, per esempio, che era stato spedito nel 1981 al domicilio coatto a Monselice, nella Bassa Padovana, era riuscito a comandare un fittissimo traffico di eroina e cocaina i cui proventi gli servirono poi per acquistare case, aziende, negozi e imbarcazio­ni. Lo stesso fece Giuseppe Piromalli, che da Bardolino, sulle del Garda, contribuì a fare di Verona la «Bangkok» d’Italia (così definita per la quantità di stupefacen­ti che all’epoca girava). Negli anni Novanta era poi toccato a Leonardo Greco, che nel 1991 dopo la condanna della Corte d’Assise di Palermo, decise di sistemarsi a Mestre; o a Anna Mazza, la «vedova nera» della Camorra, reggente del clan Moccia, che dopo la morte del marito nel 1993 arrivò nel Trevigiano, a Codognè (cosa che non venne presa bene: il sindaco del paese, il democristi­ano Mario Gardenal diede le dimissioni; mentre ci fu pure un deputato della Lega Nord, Fabio Padovan, che iniziò lo sciopero della fame). Ma in Veneto, come si sa, non c’è stata solo la gramigna del confino.

Negli ultimi anni la crisi economica, che ha spalancato le porte alla liquidità criminale — unita anche ad una certa impreparaz­ione complessiv­a e a una non sottovalut­abile omertà — ha dato alle mafie terreno sempre più fertile (sommariame­nte: la Camorra a Est, la Ndrangheta a Ovest, dove l’attività di famiglie come i Pesce o i Grandi Aracri appare ormai radicata). Tanto che da queste parti sono stati poi scoperti fior di latitanti. All’uopo, andrebbe ricordato che il braccio destro di Totò Riina, Giuseppe «Piddu» Madonia venne arrestato nel 1992 a Longare, nel Vicentino. Mentre anni più tardi, cioè nel giugno 2014, un altro peso massimo, come Vito Galatolo, figlio di Vicenzo, capo indiscusso della costa mafiosa palermitan­a degli Acquasanta-Arenella, alleato vedi ancora del boss dei boss, venne catturato in un bell’appartamen­to di via San Pio X a Mestre.

«Rispetto alla vicenda di Salvuccio a Padova, io è dall’inizio che ho lanciato l’allarme — riflette l’onorevole Pd Alessandro Naccarato — Quando infatti un personaggi­o come lui sceglie un posto dove stare non è mai per caso. La cosa che sorprende della vicenda, piuttosto, è stata una sottovalut­azione iniziale. Chi appartiene ad un’associazio­ne mafiosa, a meno che non si penta, non ne esce mai. Secondaria­mente, il fatto che lui incontrass­e pregiudica­ti nel campo degli stupefacen­ti è la conferma che la droga rimane il grande traffico delle organizzaz­ioni criminali. Come per altro dimostra la vicenda di Giuseppe Avignone dell’altro giorno (l’ex boss della ‘Ndrangheta che ha violato le prescrizio­ni della libertà vigilata ed è stato riportato in carcere a Padova, ndr)».

Restano quindi i numeri: ad oggi i mafiosi rimasti in Veneto dopo il soggiorno obbligato sarebbero ancora 150. Mentre 20 sono i boss detenuti nel carcere a Padova, dove esiste l’unica sezione veneta di alta sicurezza. I soggetti legati alle cosche attivi nel nostro territorio e tenuti sotto sorveglian­za dalle forze dell’ordine, però, sarebbero molti di più. Centinaia almeno. Ed è qui che si gioca la partita.

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