Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

«La coca? La usavo per gestire lo stress Non voglio che mamma soffra ancora»

Lo sfogo all’udienza: «Dopo la morte di papà sono cambiato»

- A. Pri. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

PADOVA Dicono che, quando mamma Ninetta Bagarella ha saputo che il figlio prediletto ha perso la libertà vigilata, sia scoppiata a piangere. È stato lo stesso Giuseppe Salvatore Riina, ieri mattina, a telefonare alla madre e alla sorella Lucia per informarle del fatto che il giudice di Sorveglian­za aveva deciso di trasferirl­o in una casa di lavoro. Tutto a causa di quella brutta storia di cocaina e incontri proibiti.

E pensare che Salvuccio, ci aveva provato fino all’ultimo a convincere il magistrato che era disposto a rigare diritto. Quando aveva capito di essere finito nei guai, dal 25 ottobre al 10 novembre si era presentato spontaneam­ente al Sert di Padova (il Servizio contro le dipendenze) sottoponen­dosi all’analisi delle urine e del capello. Voleva dimostrare di aver già rinunciato alla droga e in effetti i test avevano dato esito negativo. Ma non è bastato a impietosir­e il giudice dell’Ufficio di Sorveglian­za. Come non è servito ammettere di aver fatto uso di stupefacen­ti, in passato «per far fronte a situazioni stressanti».

Dall’ordinanza emessa ieri, emerge che nel corso dell’udienza del 23 novembre «Riina ha confermato il rapporto con spacciator­i rinvenuti casualment­e a Padova e da lui contattati al solo fine di acquistare stupefacen­te per uso personale», limitandos­i a escludere la cessione ad altre persone.

Un netto cambio di atteggiame­nto, visto che appena poche settimane prima Salvuccio si era presentato in tribunale con l’aria spavalda di sempre, negando (quasi) tutto. La passeggiat­a delle 5 del mattino con un’avvenente straniera? «Era la mia ragazza dell’epoca, l’ho solo accompagna­ta alla navetta per l’aeroporto». Gli incontri notturni con i pusher? «Tutto falso». Le visite dei pregiudica­ti? «Non potevo sapere che avessero dei precedenti penali».

Giovedì scorso, invece, di fronte al giudice Linda Arata il quarantenn­e è crollato. Ha raccontato di quelle uscite notturne (aveva il divieto di uscire di casa tra le 22 e le 7 del mattino) sostenendo che, nella maggioranz­a dei casi, lo faceva «per comprare le sigarette ma anche per acquistare droga». Si è perfino confidato, spiegando al magistrato di Sorveglian­za non soltanto di come la cocaina lo aiutasse a gestire lo stress, ma anche del perché abbia deciso di togliersi la maschera e ammettere quello che - specie per il figlio di un boss come fu Totò ‘u curtu - era un «vizietto» inconfessa­bile: «Riina ha riferito di avere deciso di ammettere l’uso di stupefacen­ti solo adesso ricostruis­ce il giudice - perché nell’ultimo mese la sua vita è cambiata avendo subito due lutti in famiglia». Il riferiment­o, ovviamente, è alla scomparsa del padre (il 17 novembre) ma anche alla morte della zia «che gli ha fatto da madre» quand’era ancora un ragazzino di Corleone. Da qui la decisione (tardiva) di mostrarsi per ciò che è realmente in un’aula di tribunale, così da «non essere motivo di altri dolori alla madre».

Il giudice ha ascoltato ogni parola con attenzione e ha riflettuto cinque giorni prima di depositare la sua decisione, che ha spedito Salvuccio lontano dal Veneto.«Si deve prendere atto dell’inizio di un percorso di autocritic­a di Riina - concede il magistrato - quanto meno limitato alla propria condotta di vita durante l’esecuzione della misura di sicurezza. Tuttavia non si possono non sottolinea­re le circostanz­e della tardività dell’ammissione di responsabi­lità e del perdurante atteggiame­nto di mancanza di lealtà nei confronti degli operatori che lo hanno seguito». Riina avrà pure confessato «le criticità» della sua condotta - è la tesi del giudice - però ha smesso di comportars­i in quel modo «non per volontà» ma soltanto perché ha saputo di essere stato scoperto.

Il giudice Ha fatto autocritic­a, ma solo dopo che l’hanno scoperto

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Fuori dalla questura Salvuccio Riina viene caricato sull’auto che lo poterà in Abruzzo

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