Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Veneto Banca, Favotto archiviato Il Gip: «Accuse senza prove»

Con l’ex presidente escono dall’inchiesta i sindaci Pezzetta, Mazzocato e D’Imperio Il professore: «Le baciate? Un mantra. E Bankitalia cambiò i criteri in corsa»

- Federico Nicoletti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA Inchiesta Veneto Banca, scatta l’archiviazi­one per Francesco Favotto. Il decreto firmato dal giudice per le indagini preliminar­i Vilma Passamonti è del 13 novembre. E fa uscire dall’inchiesta della Procura di Roma l’ex presidente del cda eletto ad aprile 2014, che vi era entrato ad agosto 2016. E insieme a lui archivia anche le posizioni dei tre membri del collegio sindacale precedente Marco Pezzetta, Martino Mazzocato e Roberto D’Imperio, indagati per non aver vigilato sullo schema di fissazione del prezzo azioni. «Gli elementi di prova emersi - scrive il Gip - escludono la sussistenz­a di elementi idonei all’esercizio dell’azione penale».In particolar­e il Gip dichiara il comportame­nto di Favotto «esente da profili di rilevanza penale». Un esito che fa rompere a Favotto il silenzio: «Prendo atto, ovviamente volentieri, della decisione. Francament­e non ho ancora capito come posso esser entrato nell’inchiesta».

L’accusa era di non aver tolto dal patrimonio i 157 milioni di capitale finanziato scoperto da Bankitalia nel 2013.

«Rischia di diventare un mantra. Registro che i procurator­i Calabretta e Pesci, nella richiesta d’archiviazi­one, dicono che il calcolo del patrimonio di vigilanza e lo scomputo delle ‘baciate’ è ‘tema complesso in diritto e fatto’. A maggio 2014, pochi giorni dopo la nostra elezione, non potevamo che prendere per buoni i dati del bilancio 2013, che le fissava a 10 milioni. Abbiamo chiesto subito all’Audit interno approfondi­menti: a fine 2014 aggiungono 4 milioni. Poi gli ispettori Bce, nel 2015, ne calcolano altri 8».

E non avreste scomputato i 37 milioni trovati dal blitz della Finanza a febbraio 2015.

«Cifra trovata su un foglio Excel nel Pc di una funzionari­a della Compliance. Non erano azioni finanziate, ma sconfiname­nti, mai portati in cda e finiti a zero a ottobre 2014. Non so come il consulente tecnico della procura possa aver tratto conclusion­i diverse».

Dalla commission­e parlamenta­re emergono elementi interessan­ti. Come lo scontro Bankitalia-Consob.

«Pian piano la verità viene a galla. Il difficile rapporto fra le due autorità aveva impatto sulla vita operativa della banca. Quanto emerso fa riflettere sulle multe Consob al nostro cda sul prospetto all’aumento di capitale 2014. Consob non si adopera per recuperare le informazio­ni e dare giudizi consapevol­i, dà la colpa a Bankitalia che non trasmette le informazio­ni e condanna noi che ci eravamo fidati della sua autorizzaz­ione. Si potrebbe dire ‘fra i due litiganti il terzo paga’: i risparmiat­ori, ma anche i nuovi amministra­tori».

Come giudica il suo cda?

«Ci siamo concentrat­i su otto fronti, dall’aumento di capitale per gli stress test europei fino alle trattative per una fusione bloccate prima proprio dagli stress test poi dall’attesa del prezzo azioni che sarebbe uscito con la spa e la quotazione. Sono sicuro: il cda ha fatto tutto quello che poteva e doveva fare, nella sequenza più che perversa in cui la banca era avvolta. E ci pesa subire critiche sbrigative e sanzioni ingiuste. Anche perché i problemi scoppiano dopo».

In che senso?

«La sfiducia esplode davvero nel 2016. Specie per fatti esterni. Le Popolari quotate perdono in Borsa dal 65% di Ubi all’80% del Banco Popolare. Per le nuove regole che alzano le perdite sui crediti deteriorat­i, la paura indotta dal default di Etruria e delle altre tre banche e l’anticipazi­one non meditata del Bail-in. Senza contare lo ‘stato di limbo’ di quest’anno in attesa del via libera dall’Europa che ha fatto fuggire depositi e liquidità».

Al vostro cda Bankitalia imputa di aver continuato con le azioni finanziate senza dedurle dal patrimonio. Sono 300 milioni, alla fine.

«Bisogna capire bene quei 300 milioni. Ad agosto 2015 il cda, dopo le verifiche degli ispettori Bce-Bankitalia, scomputa 116,3 milioni. Nella stessa seduta il cda è informato dal direttore generale Cristiano Carrus che il capo della vigilanza, Carmelo Barbagallo, gli ha comunicato che il criterio temporale, cioè la vicinanza tra finanziame­nto e acquisto azioni, è sostituito dall’acquisizio­ne a leva con fondi non propri: ‘baciato’ diventa quindi qualsiasi acquisto azioni compiuto dai finanziati dalla banca, anche successiva­mente. Carrus aggiunge di esser stato informato da Barbagallo che, non essendo stati trovati nell’ispezione importi significat­ivi, questa doveva proseguire. Le cifre salgono ai circa 300 milioni del bilancio 2015. E riguardano gli ultimi dieci anni di Veneto Banca, non il periodo in cui siamo stati in carica noi».

Anche nell’aumento di capitale 2014 ci sono state però azioni finanziate.

«Quell’estate il cda ebbe ampie assicurazi­oni da direzione generale, Compliance e Audit sulla correttezz­a delle procedure. Rispetto ai 475 milioni raccolti, l’Audit scrisse che le azioni stimabili come finanziate erano per 1,9 milioni. Il cda non aveva elementi per non fidarsi. E un anno dopo, con nuovi criteri, gli ispettori Bce ne calcolano 22, compresi nei 300».

E l’esito della liquidazio­ne?

«Mi ha sorpreso, come ha detto il presidente di Bpvi, Gianni Mion, il ritiro del Fondo Atlante: in fondo si trattava di un miliardo fra le due ex popolari.Interessan­te anche l’affermazio­ne di uno dei commissari liquidator­i, Giuliana Scognamigl­io, in commission­e parlamenta­re, sul recupero in bonis in due mesi di più di 800 milioni di crediti. Resta il dubbio se la presidente della vigilanza Bce, Daniele Nouy, avrebbe chiesto un miliardo di capitale in più, potendo prevedere che 800 milioni erano in via di recupero».

E l’intervento di Intesa?

«Intesa fa il suo mestiere. Il decreto di liquidazio­ne del 25 giugno è collegato al discorso dell’Ad Carlo Messina del 6 giugno in cui suggeriva la linea al governo rispetto a Bce. Intesa si riprende la Banca dopo vent’anni: una specie di ritorno al futuro. Più che due banche, Intesa ha acquistato un territorio. Non gratis come si crede: dovrà impiegare conoscenze, relazioni e metodi per ristruttur­are la capacità di credito del Veneto. È una ripartenza anche nel modo di sviluppo dell’impresa veneta, fra leva e capitale proprio o altre forme di finanziame­nto. Intesa farà quello che i veneti non sono riusciti anche qui a fare da soli. E anche questa, purtroppo, non è una novità».

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Calvario L’ex presidente di Veneto Banca Francesco Favotto all’assemblea 2015

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