Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Dall’ambiente alla scuola: cosa può cambiare (e i dubbi)
Dalle valutazioni di impatto ambientale, alla laguna, agli scarichi nell’ambito dell’ambiente. Dai test Invalsi per gli studenti di elementari medie e superiori, ai concorsi per i docenti e il personale in ruolo tra segreteria e ausiliari. Cosa può cambiare con l’autonomia: i punti al tavolo e le questioni che dividono.
Itest Invalsi per gli studenti di elementari medie e superiori e pure quelli che sono propedeutici all’esame di maturità; i concorsi per i docenti e il personale in ruolo tra segreteria e ausiliari; il passaggio alla Regione di tutto il personale della direzione Scolastica del Veneto; la potestà decisionale sulle scuole da accorpare e mettere in rete; i contributi alle scuole pubbliche e private.
La Regione del Veneto ha una sua idea di «buona scuola» che passa per l’autonomia. E non è un caso che alla materia abbia dedicato tre dei 66 articoli della legge. Ai quali si devono aggiungere i due sulla ricerca e l’università per le quali Palazzo Balbi rivendica la programmazione strategica su ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico ma anche la programmazione universitaria «con particolare riferimento all’istituzione di corsi di studio anche in coerenza con le esigenze espresse dal contesto economico, produttivo e sociale veneto», il finanziamento degli atenei veneti e la valutazione del sistema universitario regionale. Dentro questa formulazione c’è anche un bella fetta della critica di Palazzo Balbi al numero chiuso di molte facoltà. Dalle aste sul quaderno al 100 e lode, insomma: tutto il percorso scolastico sarebbe made in Veneto.
Una prospettiva che se vede favorevoli in larga parte le scuole, trova qualche perplessità negli atenei, che hanno un orizzonte che guarda al mondo. «Dal punto vista tecnico, la legislazione vigente prevede che le Regioni dovrebbero già esercitare le competenze sull’organizzazione del sistema scolastico — chiarisce Danila Beltrame, dirigente dell’ufficio regionale scolastico del Miur — Ed è anche ribadito dalla Corte Costituzionale che le Regioni dovrebbero avere la gestione del personale scolastico: in questo momento il nostro ufficio svolge funzioni sull’organico delle scuole che le Regioni non riescono a gestire per mancanza di strumenti tecnico-organizzativi». E una visione più vicina
al territorio, non centralizzata sarebbe coerente non solo con la Costituzione «ma anche con l’interesse del servizio». Qualcosa che val la pena di lasciare a livello nazionale però c’è: la valutazione Invalsi. «Non credo sia interesse della Regione isolarsi dal contesto delle prove — nota Beltrame — Come Veneto emergiamo sempre e sarebbe forse opportuno dimostrare che anche con l’autonomia i livelli vengono mantenuti col confronto nazionale».
Il tema centrale di tutta la trattativa è quello degli organici delle scuole, tra pochi docenti di ruolo e di sostegno e una pletora di supplenti avventizi che tappano i buchi. «A livello ministeriale è iniziata da anni una lenta e progressiva centralizzazione al fine di controllare le risorse finanziarie e di personale — nota Concetta Franco, preside a scavalo di due istituti tecnici di Mestre, Algarotti e Gramsci —. È questo il momento di contendere per gestire risorse e non aspettare che il ministero decida e che prevalga l’esigenza del bilancio pubblico nazionale». Ma se la Regione ha la prospettiva del «Prima i Veneti» e dell’autarchia educativa, meglio riflettere: «I dipendenti vanno ancora assunti con concorsi pubblici», suggerisce la preside.
Per le università del Veneto, «autonomia e maggiori risorse» stanno bene insieme nello stesso canto ma non nello stesso endecasillabo. «La programmazione dei corsi sulla base dei trend produttivi non è sbagliata, anzi — premette il rettore dello Iuav Alberto Ferlenga — Il vero problema è chi decide: non credo debba essere l’assessore di turno. Né che le esigenze di brevetto debbano prevalere su quelle della ricerca, che è utile aziende perché è interdisciplinare e insegna la complessità».
Le Università tengono parecchio all’autonomia strappata alla politica e uno zampino della Regione nei cda avvolgerebbe all’indietro in nastro del tempo. I due nodi sono quindi governance e finanziamenti.
«È sensato che la Regione compartecipi ai processi di formazione sui corsi professionalizzati, sul modello tedesco — ribadisce il rettore di Ca’ Foscari Michele Bugliesi — Ma per il resto non penso sia percorribile la regionalizzazione in uno standard di ricerca accademica che ha riferimenti internazionali». Non sarebbe quindi gradita la valutazione delle università made in Veneto, orizzonte troppo piccolo per le ambizioni della ricerca che butta il guanto della sfida oltre l’eccellenza. Un segnale di chiusura è anche l’assenza vistosa di Palazzo Balbi al recente incontro di Berlino: molte Regioni erano presenti per raccontare l’Italia 4.0, il Veneto è stato notato per l’assenza.