Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La famiglia Calò trasloca dal parroco
Treviso, il prof dell’accoglienza: «Così, insieme, si sconfigge la solitudine»
TREVISO Don Giovanni Kirschner, parroco di Santa Maria del Sile, poco fuori Treviso, avrà a breve due nuovi «coinquilini». Il professor Antonio Silvio Calò e la moglie Nicoletta (già noti per aver accolto in casa loro alcuni profughi) hanno deciso di vivere con don Giovanni per sconfiggere la solitudine di chi passa la vita al servizio degli altri. «Il parroco rimane parroco, la famiglia rimane famiglia, ma insieme testimoniano che nessuno deve rimanere solo» spiega Calò
TREVISO La canonica apre la sua porta: alla comunità in cerca di dialogo e fiducia, prima di tutto; ma anche alla figura sociale della famiglia, sempre più smarrita in una folla di individualismi e di isolamento. Chi l’ha detto che la casa del prete non possa accogliere anche una mamma, un papà e i loro figli?
In questo caso unico in Italia il sacerdote è don Giovanni Kirschner, la parrocchia è quella di Santa Maria del Sile, poco fuori Treviso, e la famiglia è quella di Antonio Silvio Calò, il «professore dell’accoglienza»: vivranno sotto lo stesso tetto. Hanno avuto insieme quest’idea così extra-ordinaria da essere allo stesso tempo un ritorno al passato e un’innovazione: «Il parroco rimane parroco, la famiglia rimane famiglia, ma insieme portano una testimonianza e cioè che nessuno deve rimanere solo». Dopo molti anni, quando ormai la solitudine dei parroci è erroneamente diventata sinonimo di celibato, la canonica ritorna un luogo condiviso.
Dopo Natale in quella casa accanto alla chiesa si trasferiranno Calò, docente di storia e filosofia al liceo Canova, e la moglie Nicoletta, insegnante. Per loro la solitudine è un concetto lontano dato che, oltre ai quattro figli, da tre anni ospitano nella loro casa di Camalò sei richiedenti asilo, che forse fra qualche mese li seguiranno, ma vogliono dare un messaggio di presenza e testimonianza. «Oggi siamo sopraffatti dalla vita, una solitudine interiore, un forte smarrimento — spiega Calò —. Per questo dobbiamo ritrovare senso in ciò che facciamo. Siamo circondati da modelli di società che guardano solo produzione e consumo, ma dov’è l’uomo? Dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro». La famiglia rispetto ai tempi dei nostri nonni ha perso identità, svuotata nei numeri (a partire dal crollo delle nascite) e spesso nei contenuti; e poi c’è il calo delle vocazioni registrato nelle diocesi, a cui si aggiunge la fatica della solitudine del sacerdote, e non sono pochi quelli che negli ultimi anni hanno rinunciato all’abito talare. «Riconosciamo, nelle nostre città, una sempre maggiore fragilità del vivere che riguarda sia i preti sia le famiglie, le coppie, i giovani e gli anziani — dice don Giovanni —. L’unica risposta è stare insieme perché nessuno si salva da solo. Condividere può rendere la vita migliore e se una persona vive bene può allargare questo benessere agli altri». L’idea del don e del prof è stata subito condivisa dalla diocesi ed è già stata presentata ai parrocchiani. C’è chi vi legge una «umanizzazione» della sacralità del sacerdote, chi una piena valorizzazione della famiglia. «Il prete non sceglie di vivere solo, ma di non sposarsi — racconta don Giovanni —. La situazione è la stessa di chi rimane solo per i motivi più disparati, separazioni, vedovanza. Non abbiamo una soluzione a un problema la nostra sarà una casa aperta. Se funzionerà, potrà essere utile anche ad altre persone».
Il professore Siamo sopraffatti dalla solitudine interiore. Dobbiamo ritrovare un senso, prenderci cura l’uno dell’altro