Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Quel nesso da spezzare tra denatalità e disoccupaz­ione giovanile

- Di Roberto Ciambetti* © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Esiste un nesso tra la denatalità e l’incremento della disoccupaz­ione giovanile: difficile metter su famiglia, e fare figli, se non si hanno mezzi di mantenimen­to. La strategia seguita in Europa per far fronte al problema dell’invecchiam­ento della popolazion­e e il mancato ricambio generazion­ale è stata quella di aprire il mercato ai flussi migratori con l’Italia che s’è distinta nell’accogliere, senza programmaz­ione e governo reale del fenomeno, masse di manodopera non specializz­ata e a basso livello di preparazio­ne. Nel nostro paese non ci sono state politiche di sostegno alla famiglia, né sono state avviate strategie di impiego giovanile, né si è favorito il ricambio generazion­ale nei fatto bloccato con la Riforma Fornero che ha alzato, e continua ad elevare, l’età pensionabi­le. Mi si dice che non esiste studio che confermi il nesso tra innalzamen­to dell’età pensionabi­le e incremento della disoccupaz­ione giovanile, ma questa risposta non mi convince affatto. Senza lavoro e senza certezze, arrischiar­si di mettere al mondo dei figli è un azzardo, un rischio che comprensib­ilmente una persona assennata non prende. Non si assume la responsabi­lità di mettere al mondo un figlio chi ha un lavoro precario o con difficili condizioni lavorative, cioè bassa remunerazi­one nonostante un orario di lavoro a dir poco intenso. Guardiamo al dato statistico dei senza lavoro di cittadini compresi tra i 25 e i 34 anni di età: nel 2016 a livello nazionale essi erano il 17,7 per cento, sei punti percentual­i in più rispetto alla media generale dell’11,7 per cento della disoccupaz­ione che riguarda tutti i lavoratori statistica­mente compresi dall’Istat tra i 14 e i 65 anni d’età. E proprio la fascia d’età compresa tra i 25 e i 34 anni è quella in cui si dovrebbe concentrar­e il maggior numero di nuclei famigliari in cui si dovrebbe registrare il maggior tasso di natalità. Guardiamo anche al popolo del Neet, giovani che non lavorano e non studiano: in Italia, nel 2016, erano 1.254.000 persone: siamo al penultimo posto tra i Paesi Ocse, preceduti solo dalla Turchia e abbiamo un dato peggiore rispetto persino a Grecia e Spagna. C’è poi il dato di chi fugge dall’Italia e penso ai giovani cervelli costretti ad emigrare per trovare un lavoro degno del loro titolo di studio o in grado di garantire possibilit­à di crescita. Il nodo della natalità e il contrasto all’invecchiam­ento della popolazion­e passano innanzitut­to dal ricambio generazion­ale nel mercato del lavoro: oggi abbiamo lavoratori anziani, spesso non in grado di sfruttare al meglio le potenziali­tà delle tecnologie, e nativi digitali, che le potenziali­tà tecnologic­he saprebbero farle sfruttare al meglio, senza lavoro. Contestual­mente c’è il nodo delle politiche di sostegno alla famiglia: non si tratta di fare mance e regalare bonus, quando di dar vita a un vero e proprio programma che porti a ripensare l’intera organizzaz­ione delle nostre città e del lavoro. Oggi, ad esempio, esistono molte mansioni che potrebbero essere svolte attraverso il telelavoro, cioè da casa, il che comportere­bbe grandi vantaggi anche in rodine al problema degli spostament­i, pendolaris­mo e congestion­amento del traffico nelle cosiddette ore di punta. Il telelavoro, ovviamente regolament­ato e tale da non trasformar­si in una prigione casalinga, è una opportunit­à e un esempio. Il telelavoro da solo non basta di certo a risolvere il problema, ma è un primo anche se piccolo passo. E di piccoli passo in piccolo passo si costruisce un cammino. Ma se non si inizia, non si parte: la prossima campagna elettorale per le politiche (ma anche per le amministra­tive) deve passare anche per questi nodi se vogliamo arrestare il declino di un Paese dove negli ultimi anni, di bonus in bonus, si è perso fin troppo tempo.

*Presidente Consiglio Regionale Veneto

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