Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Un rosso Natale, peperone crusco rape e melagrana
I rischi delle mode in cucina. Non c’è cuoco che voglia darsi un tono, senza uno schizzo di barbe rosse proposte nel menu del ristorante
gni annata ha il suo piatto tormentone. Come per la musica o per l’abbigliamento anche il successo di una ricetta ne impone il diffondersi e nell’ultima stagione è toccato alla barbabietola. Non c’è cuoco che voglia darsi un tono, senza uno schizzo di barbe rosse sul menu. C’è stato il periodo del cocktail di scampi, della tagliata con rucola, del tortino di cioccolato col cuore caldo, del tataki di tonno, del maialino morbido e croccante, della cacio e pepe e adesso siamo in quello della barbabietola. Per trovare il lato positivo delle cose che a tavola è anche più semplice di quanto non sia per la nostra Italia, almeno a Natale le teste di rapa fanno colore. Perché limitarsi all’apparecchiatura, alle candele, alla coroncina da appendere al portone di casa quando si può portare un tocco di festosità anche nel piatto. La ricetta principe di questa riscoperta è un risotto mantecato alle rape rosse e Gorgonzola dolce, cucinato per la prima volta 12 anni fa da Enrico Bartolini, il cuoco dalle cinque stelle Michelin (due a Milano, una al Glam di Venezia, a Bergamo e in Maremma). In cucina s’inventa poco e qualche agiografo di Marchesi potrebbe obiettare che il maestro della cucina italiana faceva già un risotto simile con al centro un centrifugato di rape rosse, mantecato con salsa di Franciacorta e Parmigiano. «Non so se quello di Marchesi esisteva già, ma se anche fosse non lo sapevo – commenta Bartolini – di fatto questo risotto è un piatto che mi identifica. Non il mio preferito, ma goloso e particolare». Di certo, seppur coi tempi della gastronomia, è diventato di moda: il piatto più copiato degli ultimi anni. La ricetta prevede di arrostire le barbabietole fino a farne una purea da setacciare e usare in mantecatura. Una volta steso nel piatto il risotto si completa con gocce di Gorgonzola dolce che bisogna sciogliere a fuoco delicato facendo attenzione a non «stracciarlo», a renderlo cioè ruvido con una temperatura eccessiva. Un piatto ideale Per accompagnare i cruschi un bicchiere di Aglianico per una vigilia moderna: vegetariano, salutare, allegro. Secondo uno studio dell’Università di Exeter nel Devon, compiuto sui ciclisti del Tour de France, il succo di barbabietola In ogni casa del Senisese in Basilicata ci sono i peperoni a seccare migliorerebbe anche le prestazioni sportive. Cosa invece sta per fortuna scomparendo dalla cucina delle feste è il chicco di melograno a decorare il piatto. Per anni, complici le scuole alberghiere, uno dei frutti più sensuali dell’autunno è stato straziato e disperso nel vano tentativo di dare un tono a piatti spenti e tristi. Oggi però «il verde melograno/ da’ bei vermigli fior» come lo cantava il Carducci che nella Toscana di Bolgheri doveva osservarne parecchi, viene riscoperto come succo. Acidulo, tannico come il vino e dolce, è ricco di vitamina C e di antiossidanti. Per estrarlo ci vuole uno spremiagrumi di quelli fatti come lo schiacciapatate, ma si può anche far rotolare il melograno con una leggera pressione tra il palmo della mano e un tavolo d’appoggio, sentendo scricchiolare e rompersi i chicchi al suo interno, per poi praticare una piccola incisione alla base del frutto e lasciar gocciolare il succo. In letteratura era considerato anche un simbolo di fertilità, senza dubbio di buon auspicio per le feste. Si usa perlopiù a crudo, a causa proprio di questa ricca presenza di antiossidanti che non reggono la cottura. Tuttavia resta un bellissimo – e costoso - elemento decorativo per i centrotavola. Cosa infine meriterebbe di essere recuperato per dare ancora colore al pranzo di Natale è il peperone crusco. Si cambia latitudine, si va al Sud, nel clima Mediterraneo, caldo e asciutto anche in autunno. Si tratta di un peperone essiccato, croccante e che non resta indigesto. Restiamo nell’ambito della cucina vegetariana o se preferite «di magro», ideale per osservare una vigilia cattolica. Una ricetta tradizionale, antica, tipica di Senise e delle finestre dei paesi dove gli anziani ancora oggi appendono i peperoni a essiccare. Ma ha una grande modernità in quel suo essere una sorta di snack da sgranocchiare, al posto di stuzzichini industriali prodotti con chissà cosa, basso di calorie e comunque vegetale e completamente naturale. Ha un nome onomatopeico, come solo il Mezzogiorno riesce a trovare giocando con l’italiano, andando a rappresentare quel crocchiare e scrocchiare del peperone sotto i denti, ma anche il colore tostato della crusca. Sono facili da trovare anche confezionati, ma se volete provarne tra i più tipici un indirizzo è l’Osteria al Borgo di Avigliano. Vanno accompagnati a un ultimo ingrediente, rosso anche lui: il vino. Che sulla tavola delle feste non dovrebbe mancare mai.