Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il Valdobbiadene sa di futuro
Nel punto più elevato delle colline del Cartizze, nel Trevigiano, zona della «cru» del Prosecco, l’azienda Col Vetoraz sceglie la qualità per distinguersi «da quanto succede in pianura»
mondiali. Come? «Ogni anno raccogliamo 2,2-2,3 milioni di chili di uva, il 20% dai nostri vigneti e la restante dai 68 piccoli viticoltori coi quali collaboriamo», spiega Dall’Acqua, che peraltro è anche Gran Maestro della Confraternita di Valdobbiadene, ente che esiste dal 1946 per tutelare la Glera su queste colline. «Tutta la produzione segue un determinato programma agronomico, gestito con quattro incontri annuali. Ma non tutta l’uva che nasce finisce nelle nostre bottiglie, che sono ogni anno circa 1,2-1,3 milioni. Infatti, circa un terzo della produzione, quella che riteniamo meno qualitativamente elevata, è subito venduta ad altre aziende». Una scommessa sulla qualità che ha portato l’azienda a fatturare circa dieci milioni di euro e a dar lavoro a 18 persone. Ultimamente si è aggiunta anche una nuova figura: un parcheggiatore, metafora dell’enoturismo che vale l’8% del business aziendale. «Nei weekend dobbiamo gestire anche i flussi di persone», sorride Dall’Acqua, «costretto» a coabitare con la notorietà dell’Osteria senz’oste vicina di casa. Così, tra comitive di stranieri a caccia di emozioni, curiosi del vino e aziende che affittano la sala-riunioni del nuovo punto accoglienza – inaugurato giusto lo scorso anno – la fama mondiale del Cartizze continua a salire. Col Vetoraz ha una produzione da 40 mila bottiglie, tutte in versione dry con 24 grammi di residuo zuccherino. «Seguiamo la tradizione, non abbiamo tentato vie alternative con versioni extra brut che non rispecchiamo quello che facevano i nostri contadini». Perché la storia secolare a queste altitudini non si può cambiare: il Cartizze veniva raccolto tardi perché il vento e l’esposizione al sole non favorivano la muffa, aveva grappoli che concentravano le sostanze nutritive. Da qui, la tradizione di un vino amabile, rotondo, dal bouquet olfattivo superbo. D’altro canto, ancorarsi alla tradizione è necessario in un’era di sviluppo mondiale del Prosecco, che ha superato abbondantemente il mezzo miliardo di bottiglie sul mercato. Col Vetoraz ha già deciso la sua strada: la produzione non si aumenta a meno che non si trovi uva di qualità maggiore. «Vogliamo persino togliere dalla nostra comunicazione la parola “Prosecco” per utilizzare solo “Valdobbiadene” per non confonderci con quanto stanno facendo in pianura», chiude Dall’Acqua. «Il mio terrore è di finire come l’Asti: dopo il boom internazionale ci fu il collasso».