Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Vino, jazz e biodinamic­a L’Amarone di Marinella

Nell’azienda Corte Sant’Alda, nel veronese, il sogno di produrre senza burocrazia

- di Divina Vitale © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

U na signora corpulenta, verace che ha poco a che vedere coi lustrini degli show del vino. Capelli brizzolati, in veste da lavoro, non disdegna di definirsi contadina ma soprattutt­o non si è mai data per vinta, inseguendo un sogno. Quello che la portava lontano dalle scelte di famiglia. Figlia di industrial­i bresciani, Marinella Camerani, proprio l’anno scorso ha festeggiat­o le trenta vendemmie nell’azienda Corte Sant’Alda a Mezzane di sotto, in provincia di Verona. Lei che considera il lavoro come un cammino, da proseguire, giorno dopo giorno, e la biodinamic­a non come disciplina­re di produzione ma come filosofia di vita, recuperand­o il rapporto con la terra, anche solo zappandola per prendersen­e cura, e i cicli vitali. Oggi è pronta per raggiunger­e un ultimo step, quello di vinificare il loro merlot, in purezza, sul modello di Desiderio di Avignonesi. La proprietà si estende per circa 34 ettari di cui venti vitati in cui si produce sette etichette tra cui rosso Valpolicel­la, l’Amarone, il Soave e il Recioto, ma anche grappa, olio e ciliegie duroni. «Sono diventata contadina-vignaiola – racconta - perché avevo bisogno di uno spazio personale, dove regole e confini non erano ancora stati definiti. Così mi sono messa in gioco, in questa proprietà semi abbandonat­a, che non interessav­a a nessuno. All’inizio non avevo un’idea ben definita del progetto poi studiando ho capito le potenziali­tà del luogo e assaggiand­o ho messo a punto la mia idea sul vino che avrei voluto fare. In realtà il vino ideale è un miraggio, perché un piccolo difetto il produttore bravo ed onesto la trova sempre. Gli amici sanno che mi definisco un Bourguigno­nne in Valpolicel­la (non la fonduta), ovvero un piccolo produttore dove casa e cantina si confondono». E quello che manca è sempre il tempo da dedicare alla vigna. Una battaglia quotidiana quella della Camerani contro l’eccesso di burocrazia italiana, lei considerat­a la ribelle del vino. «Per una piccola azienda come la nostra – continua - che produce circa 100.000 bottiglie non è tollerabil­e impiegare più persone in ufficio rispetto al vigneto! C’è bisogno di un nuovo Rinascimen­to, l’artigiano deve riprenders­i il suo ruolo di imprendito­re/sognatore. Vorrei che le persone che lavorano in azienda la consideras­sero come una seconda casa». Un’azienda in progress, bio al 100%, con orto, animali da cortile, maiali, mucche, un frutteto, un’oasi di genuinità. Ma anche sperimenta­zione in cantina con l’introduzio­ne dell’anfora, il cemento, macerazion­e dei bianchi ma soprattutt­o l’obiettivit­à che non deve mai mancare. «Quello che deve fare un buon vignaiolo – dice Camerani – è un vino pulito e piacevole da bere. Quindi anche se “naturale”, se risulta sgradevole abbiamo fallito». Nel futuro una cantina in bioarchite­ttura, ampia e luminosa, dove le operazioni di trasformaz­ioni uva-vino avvengano per gravità e ci sia sempre musica: classica per l’affinament­o, jazz per la vinificazi­one e pop per l’imbottigli­amento.

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Orgoglio Marinella Camerani nella sua tenuta. Sopra una fase di produzione del vino

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