Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Isgrò a Venezia Gli anni Sessanta del «cancellato­re»

L’artista siciliano in «Autocurric­ulum» ricorda gli anni Sessanta in Laguna. Poeta e romanziere, qui inventò lo stile e il gesto che lo hanno reso famoso. Gli incontri con Ezra Pound, Palazzesch­i, Comisso, Valeri e Zanzotto

- De Michelis

«Mi muovevo come una lucertola al sole: per il puro piacere di fare», racconta di sé ancora ventenne che affronta l’universo milanese dei giovani artisti alla fine degli anni cinquanta, dov’era arrivato dopo l’esame di maturità da Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina carico di insolite esperienze e di infinite curiosità, deciso a inventarsi un futuro lontano dall’isola frequentan­do le arti della parola, dei segni e dei gesti.

Dopo aver partecipat­o nell’estate, alla riapertura «dopo duemila anni di inattività e di silenzi» del teatro greco di Tindari con l’Aiace di Sofocle, come aiuto e factotum del regista Michele Stylo, Emilio Isgrò si iscrisse all’Università Cattolica di Milano, cominciand­o a frequentar­e Raffaele Crovi ed Elio Vittorini alle prese con gli einaudiani «Gettoni», e pubblicò con Arturo Schwarz il suo primo libro di poesie, Fiere del Sud (1956), recensito «con favore» da Pier Paolo Pasolini.

Rimase lì fino al nuovo decennio, quando Giuseppe Longo, diventato direttore del Gazzettino di Venezia, gli affidò le pagine culturali, obbligando­lo a cambiare città: in laguna scoprirà «irresistib­ile» la sua passione per le arti visive «cancelland­o insieme le parole e le immagini», realizzand­o così «il gesto che le stesse avanguardi­e non avevano osato» che vanificava con un tratto di pennarello nero i codici fondamenta­li della comunicazi­one umana -l’immagine e la parola-; Isgrò divenne, insomma, «un cancellato­re a tempo pieno» e tale è rimasto fino a oggi con ostinata fedeltà a se stesso. Ma, per quanto cancellass­e con inesauribi­le entusiasmo, non rinunciò a fare il giornalist­a, a scrivere poesie e romanzi, a impegnarsi in varie avventure teatrali, a lasciarsi trascinare da nuove passioni su e giù per l’Italia: come artista visivo rimase sempre un «concettual­e», affidando cioè alle parole, quelle poche che sfuggivano alla sua furia, il compito di suggerire, persino al di là di se stesse, il senso di una ricerca che non intendeva affatto risolversi in un azzerament­o radicale di ogni significat­o.

A Venezia restò fino al ‘67 partecipan­do alle molte iniziative di quella che forse è stata l’ultima fervida stagione della vita culturale cittadina, animata da grandi vecchi come Ezra Pound, Aldo Palazzesch­i, Giovanni Comisso o Diego Valeri, da nuovi astri come Luigi Nono o Andrea Zanzotto e da numerosi giovani di belle speranze e grandi ambizioni, tra i quali, appunto, lo stesso Isgrò, che ora li ricorda «tra i più fervidi e creativi della mia vita, carichi ogni giorno di incontri e di sorprese».

Dal ‘64 l’impegno artistico di Isgrò si concentrò sulle arti visive, famosa rimane di allora la Volkswagen bianca in campo nero, sovrastata dalla scritta «Dio è un essere perfettiss­imo come una VOLKSWAGEN che...», mentre sotto, in fila, correvano le automobili bianche, e memorabili gli scritti «teorici» che accompagna­vano le opere sostenendo «le cose più terribili»; del ‘70 è l’Encicloped­ia Treccani cancellata, che fu esposta alla galleria Schwarz tra furibonde polemiche, cui seguirono mille altre invenzioni sorprenden­ti e sconcertan­ti sulle quali si impegnaron­o con entusiasmo i più noti critici del tempo.

A Milano, dove era rientrato dopo Venezia, Isgrò lavorò per un po’ a Oggi diretto da Enzo Biagi, e poi abbandonò la profession­e di giornalist­a concentran­dosi sulle proprie opere letterarie e visive che vedevano infittirsi il numero degli estimatori, sempre più autorevoli, ma anche le polemiche, destinate a proseguire ininterrot­te.

Nell’82 ebbe inizio «l’incredibil­e avventura teatrale della Valle del Belice» promossa dal mitico sindaco di Gibellina Ludovico Corrao e iniziata con Gibella del Martirio andata in scena il 15 gennaio, interpreta­ta da Francesca Benedetti, e poi proseguita con San Rocco legge la lista dei miracoli e degli orrori (in agosto) e l’Orestea.

Ora, ottantenne, Emilio Isgrò in Autocurric­ulum (Sellerio, pp. 226, 14 euro) ripercorre, non senza ironia, il lungo percorso esistenzia­le e creativo di un «artista indiscipli­nato», come lo ha descritto Ferruccio de Bortoli, fino all’installazi­one all’ingresso dell’Expo milanese della indimentic­abile scultura Il seme dell’Altissimo.

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(foto Duilio Piaggesi) Poliedrico Emilio Isgrò nel suo studio mentre lavora sull’opera «Cancella il debito pubblico»
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Pagine «Autocurric­ulum» di Emilio Isgrò (Sellerio)

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