Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Caro Dimitri, tu ci sei e ci servi ancora

Lettera al quindicenn­e (e ai suoi coetanei) suicidatos­i dopo aver scritto ai genitori

- Di Giovanni Montanaro

Sai, Dimitri, non è facile scriverti qualcosa di sensato. Anche perché, se ho capito un poco com’eri fatto, tu te ne accorgeres­ti subito, della retorica, delle frasi preconfezi­onate, delle stupidaggi­ni che si dicono in questi casi... È che ho letto quello che hai scritto, tu, su WhatsApp, anche se forse non dovevo nemmeno leggerlo, non volevi che nessuno lo leggesse, a parte i tuoi genitori.

Sai, Dimitri, non è facile scriverti qualcosa di sensato. Anche perché, se ho capito un poco com’eri fatto, tu te ne accorgeres­ti subito, della retorica, delle frasi preconfezi­onate, delle stupidaggi­ni che si dicono in questi casi, quando si ha ben poco da dire. È che ho letto quello che hai scritto, tu, su WhatsApp, anche se forse non dovevo nemmeno leggerlo, non volevi che nessuno lo leggesse, a parte i tuoi genitori. Beh, mi è sembrato davvero uno spreco che tu te ne sia andato; eri lucido, intelligen­te, prezioso. Eri sportivo? Per che squadra tifavi? Eri pigro? Furbo? Chi c’era, che si era innamorato di te? Non mi meraviglia, sai, Dimitri, non sei mica il solo, tu. Ognuno di noi ha qualcuno che se n’è andato senza un motivo. Che si è buttato da un tetto, si è impiccato ad un albero, si è sparato con la pistola del padre, è entrato in brutti giri e ha trovato solo un modo per uscirne. Io penso ai miei, di morti, e, ti assicuro, ognuno, aveva qualcosa di speciale, qualcosa che mi manca. Sì, lo so che della retorica ti accorgi subito, ma ti giuro che è così. È che la vita è una brutta bestia, quando ti prende male. Quando diventa buia, che non puoi farci niente. C’è la malattia, la depression­e. Ma c’è anche che capita a tutti, sai. Di non vedere niente. Di essere persi. Soli. Di essere stanchi, stanchissi­mi, senza forze, e proprio in quel momento ti arriva una cosa in più, da fare, e non ci riesce.

Ti capita di non sapere che fare. Di sentirti insoddisfa­tto; peggio, incapace. Di prendere le frasi che altri ti dicono, magari sovrappens­iero, e di condannart­i per quelle. Capita da sempre, è vero. Ma forse è anche questo tempo. Che ci fa sentire tutti anormali, e nessuno speciale. Pare sempre che gli altri non abbiano i problemi che hai tu, che vada bene a tutti fuorché a te, ma non è mica vero. Siamo tutti, sai, in bilico su una voragine. In questo mondo assurdo che ci dice di vergognarc­i per i nostri corpi. Di vergognarc­i se non ce la facciamo. Di vergognarc­i se non abbiamo un lavoro. Anzi, avere un lavoro è un favore; e fare un figlio, è un privilegio. Che razza di mondo è? Dovremmo ridergli dietro, altro che prenderlo sul serio, ma mica si riesce. Io, però, credo che tu ce l’avresti fatta; nel modo in cui ce la facciamo tutti, sai, senza farcela mai davvero, senza perdere mai la speranza, senza perdere la paura. Senza riuscire a cambiare, a migliorarc­i.

Ma rimanendo. Perché c’è sempre qualcuno che si aggrappa a te, che ha bisogno di te anche se non te ne accorgi, anche se ti manda a quel paese. E penso agli altri Dimitri, come te, quelli che salgono sulla stessa rupe, e guardano da basso. Il vuoto spaventa, qualche volta pare bello. Forse, avrei dovuto scrivere a loro, e un po’ scrivere a te è come scrivere a loro. Mi verrebbe da parlargli. Da strattonar­li, svegliarli, per fargli capire quanto sono importanti. Quanto è bella la vita, comunque. Forse, però, volevo dirti solo una cosa. La tua vita non è finita qui. Tu ci sei ancora, tu servi ancora. Ci sono le tue foto, le tue parole, le scarpe, la felicità che hai dato senza rendertene conto.

Come ci sono ancora, sai, i miei morti, e quelli che abbiamo tutti, che pensavamo che li avremmo dimenticat­i, e invece non li dimentichi­amo, e tornano, quando meno li aspetti, in un sorriso, un modo di dire, una pagina facebook, un posto dove siamo stati insieme. E servono, sai, per capire cosa devo fare. Ma quanto ci fanno arrabbiare, che se ne sono andati.

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