Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Il papà di Meriem: «Viva e in Francia? Se è così non va arrestata ma aiutata»

La padovana dell’Isis e l’ipotesi fuga in Europa. «Spero di riabbracci­arla»

- Roberta Polese © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Se mia figlia fosse viva PADOVA sarebbe un miracolo. Ma non credo sia sopravviss­uta...». È scosso Redouani Rehaily, il padre di Meriem, la 21enne marocchina di Arzergrand­e inghiottit­a dall’esercito dell’Isis nel 2015 e al centro di un processo a Venezia dove è stata condannata a 4 anni per terrorismo. È accusata di essere una foreign fighter, una combattent­e straniera arruolata dall’esercito del Califfo per la guerra gli infedeli.

Dopo la liberazion­e di Raqqa, considerat­a la roccaforte dell’esercito degli uomini in nero, molte teorie sono nate sul destino di quei ragazzi irretiti dalla propaganda anti occidental­e e spariti nel nulla tra le file dell’esercito della morte. Di Meriem, fuggita dal Padovano nel luglio del 2015, si era ipotizzato fosse stata uccisa dalla polizia religiosa islamica, punita per un presunto adulterio. Ma notizie certe dal fronte siriano non sono mai arrivate. Fino a tre giorni fa, quando un quotidiano in lingua araba, Al

Ahdath Al Maghribia, ha riportato fonti dell’intelligen­ce stando alle quali la giovane sarebbe rientrata in Europa e si nascondere­bbe in Francia con un nome falso. «Non c’è alcun riscontro ufficiale», spiegano fonti investigat­ive. Ma il Ros ha avviato verifiche, considerat­o il rischio che Meriem possa compiere azioni kamikaze.

Neppure il padre ne sa nulla. Solo al pronunciar­e del nome della figlia, gli occhi si accendono di speranza, anche se subito dopo sopraggiun­ge il pensiero dei traumi che la ragazza deve aver vissuto, e

della necessità di guarire, e andare avanti. «Ci avevano detto che era stata lapidata, immagini sua madre come può aver appreso quella notizia», racconta. Crede che sia viva?

«Non so più a cosa credere ormai. Ora mi dite che è in Francia, non so nemmeno se ci cercherebb­e: sa che la aspetta il carcere, se qualcuno dovesse trovarla».

Le avete mandato molti messaggi, almeno attraverso la stampa…

«Sì, ma da lei non è arrivata alcuna notizia, solo informazio­ni generiche. Ovviamente ci auguriamo sia viva, ma se fosse in Francia sono certo che gli investigat­ori si sarebbero già precipitat­i ad arrestarla». Meriem finirebbe in carcere...

«Lo so, ma non è giusto: mia figlia è stata plagiata, questo lo possono riconoscer­e tutti. Non è un’assassina, è una ragazzina, non dovrebbe finire in carcere, dovrebbe andare da uno psicologo, essere assistita dai servizi sociali, tutti dovremmo aiutarla a superare i traumi che ha vissuto, toglierle il rumore delle bombe dalla testa». Lei e sua moglie, come avete vissuto questi anni?

«Sono anni terribili. Lavoriamo tutti qui, la nostra vita è in questo paese, ogni volta che ci chiamate voi giornalist­i ci aggrappiam­o alla speranza che sia ancora viva e possa tornare a casa, riprenders­i la sua vita. Ogni giorno guardiamo i giornali con il desiderio di avere qualche notizia. Qualche tempo fa abbiamo saputo proprio dalla stampa che qualcuno l’avrebbe uccisa, sua madre per poco non moriva dal dolore... Abbiamo bisogno di credere che Meriem sia viva e spero ci faccia avere sue notizie. Ma non credo lo farà... Però vorrei sapesse che la sua famiglia la sta ancora aspettando: non smetteremo mai di sperare».

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