Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
«Amava stare qui. Una fine immeritata»
Il dolore del nipote: «Non sapevo vivesse in strada». Il paese: «Non dava fastidio a nessuno»
ZEVIO (VERONA) «Mio zio era innamorato di Zevio. Anzi, di Santa Maria di Zevio. E quando gli dicevo di venire a trasferirsi da me, lui mi rispondeva che avrebbe voluto rimanere qui a Santa Maria per tutta la vita. Forse lui desiderava morire proprio qui. Ma quel che è certo è che non meritava una fine del genere». Salah è arrivato nei giorni scorsi da Barcellona con un’unica missione: riportare a casa, in Marocco, la salma di suo zio Ahmed Fidl, morto carbonizzato dentro l’auto in cui viveva la sera dello scorso 13 dicembre. Ma nel corso della sua «Odissea» burocratica, tra autopsie e nullaosta, si è imbattuto in una tragica verità: dalla procura dei minori di Venezia ha saputo che ci sono due ragazzini indagati per la morte di suo zio. E ora, sostenuto dall’associazione Saadia e dalla presidente Samira Chabib, chiede solo una cosa: «Giustizia». Ieri mattina ha voluto visitare quel piazzale privato in fondo a via Furke dove, a distanza di un mese, restano ancora ammucchiati i resti della quotidianità di suo zio.
Un paio di ciabatte, un cumulo di vestiti, una scarpa, una mela smangiucchiata e due pacchi di biscotti. Nessuno si è curato di portarli via dopo che l’auto carbonizzata in cui è morto è stata sequestrata. «Io non sapevo che vivesse in strada - ricorda Salah, che ha voluto incontrare chi aveva tentato di salvare lo zio -. Ci sentivamo al telefono e mi diceva che andava tutto bene. Era in Italia dal 1990, aveva lavorato nel settore siderurgico. Aveva perso il lavoro qualche anno fa, ma non voleva lasciare Santa Maria. Io gli mandavo dei soldi, aspettava la pensione e viveva da spirito libero, felice». Un ritratto confermato da tutta la frazione, sconvolta dalla verità emersa dalle indagini. «Ci auguriamo solamente che non sia vero. Sarebbe un’umiliazione per tutta Zevio» commenta Margherita Andreoli, titolare dell’edicola di Santa Maria. Ahmed, il «baffo» per tutti quanti, era di casa: «Si fermava qui fuori e chiedeva le monetine, ma non ha mai infastidito nessuno - prosegue la negoziante -. Gli volevano tutti bene e qualche volta mi chiamava nella sua macchina per mostrarmi i pasti che gli avevano preparato e donato i residenti». Al bar Andreoli, il titolare Gianbattista è visivamente emozionato: «Passava di qui ogni mattina, si rinfrescava in bagno. Qualcuno gli offriva un bicchiere e lui augurava a tutti buona fortuna. Nessuno poteva volergli male». Il sindaco Diego Ruzza, che in questi giorni si trova all’estero, preferisce rimanere in silenzio fino al suo rientro. In via Furke, zona di villette a schiera a ridosso della strada principale che taglia in due la frazione, tutti conoscevano il «baffo»: «Non dava fastidio a nessuno».
Lo sguardo cade su quell’ammasso annerito di vestiti rimasti lì, dopo settimane e settimane. «È area privata e nessuno interviene, nemmeno il Comune - spiegano i residenti -. È successo così anche con l’auto in cui viveva Ahmed: l’ha lasciata lì uno straniero dopo un incidente e si è trasformata in un rifugio per quel poveretto».
Aspettava la pensione e viveva da spirito libero, diceva che era felice