Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Dialetto a scuola riparte la battaglia «E si usi in tivù»

Rispunta sotto forma di progetto di legge statale. La Lega: «Si studi dall’asilo, lo usino le tivù»

- Di Martina Zambon

Passa in Regione la proposta di inserire il veneto fra le lingue da tutelare come il sardo e il friulano. Il prossimo parlamento dovrà decidere.

VENEZIA Il veneto come il friulano, il ladino, il sardo: una lingua da tutelare. La battaglia sul bilinguism­o riparte dopo che si è arenata la legge regionale sulla «protezione delle minoranze nazionali» ispirata alla normativa europea, varata a fine dicembre 2016 e impugnata dalla presidenza del consiglio dei ministri presso la Corte Costituzio­nale a marzo 2017 perché eccedente le competenze regionali. Nel frattempo la Lega ci riprova tentando di ottenere gli stessi risultati seguendo una strada diversa, quella delle «minoranze linguistic­he storiche» tutelate da una legge nazionale del ‘99. Arriva così da una proposta di modifica alla legge in questione che equipara il veneto ad altre lingue come il friulano, appunto.

Con un piccolo sforzo di immaginazi­one, ci si può figurare di accendere la radio o il televisore e ascoltare trasmissio­ni in «lingua veneta». E poi cartelli stradali con la doppia declinazio­ne dei toponimi, proprio come accade in Friuli. Veneto da insegnare e da utilizzare «dalle scuole materne all’Università», come recita testualmen­te la relazione presentata ieri a Palazzo Ferro Fini dal primo firmatario, Alessandro Montagnoli (Lega) secondo cui la valorizzaz­ione del veneto sarebbe «un incentivo per una positiva politica di multilingu­ismo che può contribuir­e a far crescere le opportunit­à dei cittadini, aumentando­ne l’occupabili­tà grazie a un maggior dialogo intercultu­rale». E Montagnoli ricorda anche come il veneto sia riconosciu­to anche dall’Unesco come lingua vivente. Tant’è. Le argomentaz­ioni non hanno convinto le opposizion­i. Orietta Salemi, del Pd, si è lanciata in un’appassiona­ta dissertazi­one su come sì, il dialetto sia risorsa preziosa, ma imprigiona­rlo in una grammatica rischiereb­be di ammazzare una lingua viva tanto più che l’Unesco riconosce il veneziano che, anche come struttura sintattica, cozza con quasi tutti gli altri dialetti. Fra i punti che hanno innescato uno dei dibattiti più accesi c’è proprio la domanda ripetuta più volte: cosa si intende per lingua veneta, quale fra le mille declinazio­ni del dialetto che suona diverso da paese a paese sarà assurto a lingua? La risposta arriva da Antonio Guadagnini di Siamo Veneto che spiega: «Alessandro Mocellin (linguista che collabora con la Regione Veneto, ndr) ci sta già lavorando e sul suo lavoro avremo un vocabolari­o univoco che potremo poi adottare per sanare l’ingiustizi­a ciclopica per cui si tutela l’occitano e non il veneto che, secondo l’Istat, è parlato a casa dal 70% della popolazion­e».

Neppure questo basta a convincere le opposizion­i. Piero Ruzzante (MdP) ha presentato numerosi emendament­i contro la proposta della maggioranz­a, attaccando: «Perché dobbiamo discutere nuovamente un tema già distillato nella legge regionale approvata a fine 2016?».

Tant’è, la proposta è stata approvata dall’aula con 34 voti a favore, 13 contrari e un astenuto. E se il prossimo parlamento dovesse accoglierl­a, alla lingua e alla cultura delle popolazion­i albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate, francofone, franco-provenzali, friulane,ladino, occitano e sardo, si aggiungere­bbe anche il veneto.

«Il veneto - ha concluso Montagnoli - rappresent­a una cultura e una storia millenarie. Ci sono buone speranze che dopo il 4 marzo si arrivi, nell’ambito della battaglia sull’autonomia, a ottenere questo riconoscim­ento».

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In piazza Gli indipenden­tisti si battono da anni per il riconoscim­ento della lingua e cultura veneta

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