Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Strage di amici 3 anni all’autista «Ingiustizia»
L’ira dei genitori: «Ci ha tolto i nostri figli». La beffa dell’alcoltest
Tre anni di carcere: a tanto è stato condannato il maestro di sci che, due anni fa, travolse tre giovani trevigiani. Le famiglie: «Troppo pochi».
MARENO DI PIAVE «Tre anni sono troppo pochi. Ma almeno abbiamo sentito il giudice pronunciare quella parola: colpevole». A parlare, con la voce rotta dal pianto, è Mariateresa, la mamma di Alberto Casagrande, morto a 23 anni, insieme ai fratelli Antonio e Daniela Ago (23 e 21 anni), il 29 gennaio 2016 lungo l’autostrada A4 a Bergamo. Ieri il conducente del furgone che ha travolto l’auto dei tre ragazzi, il 42enne maestro di sci trentino Enrico Vicenzi, è stato condannato con rito abbreviato a una pena di 3 anni, all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, al pagamento delle spese processuali e a 4 anni di sospensione della patente per omicidio colposo plurimo (il reato di omicidio stradale, all’epoca, non stato ancora introdotto).
Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Bergamo, Vito Di Vita, ha accolto le richieste della pubblico ministero Fabio Pelosi (4 anni e 6 mesi, scontati di un terzo per il rito abbreviato) e lo ha condannato al massimo della pena. «Ci aspettavamo di più. Ricorrerà in appello e questa condanna si ridurrà ancora. E a noi non resta che l’amarezza di chiederci se è giustizia questa?». Le famiglie hanno voluto essere presenti al processo con il loro avvocato Omar Bottaro, ma non si sono costituite parte civile perché, assistite dallo Studio Mazzini, hanno ottenuto il risarcimento dalla compagnia assicurativa.
La rabbia di Mariateresa e del marito Pierluigi Casagrande è tanta. Come il dolore, che segna i loro giorni e quelli di Vullnut e Pramvera Ago, una coppia che vent’anni fa ha lasciato l’Albania per costruire in Italia un futuro migliore per i due figli, deceduti entrambi nell’incidente.
«Pramvera non riesce ad accettare che non faccia un solo giorno di carcere. E come si fa a non capirla? Lei e Vullnut hanno perso la loro stessa ragione di vita».
Per i genitori è difficile accettare una sentenza che dà all’imputato la possibilità di scontare la pena con un programma di lavori socialmente utili. «La nostra vita è finita quel giorno, e da quell’uomo abbiamo avuto solo una lettera di scuse tardiva. Scusa per cosa? Per averci portato via i nostri figli?». La difesa di Vicenzi aveva chiesto di patteggiare 2 anni con sospensione condizionale, ma il pubblico ministero non ha dato l’assenso rilevando che, dal 2006, l’uomo è stato sanzionato sei volte per eccesso di velocità.
Proprio la velocità, insieme alla distrazione, sarebbe all’origine dello schianto del 29 gennaio di due anni fa. Era notte, alcuni chilometri più avanti c’era un incidente. Alberto, Daniela e Antonio erano fermi in coda, con la loro Suzuki, di ritorno da un concerto a Milano. Le quattro frecce azionate, come richiesto dai cartelli che, già svariati chilometri prima, segnalavano l’incidente e invitavano a rallentare. Probabilmente erano felici, nelle orecchie ancora l’eco della musica, quando improvvisamente sono stati travolti dal furgone Volkswagen condotto da Vicenzi, piombato sulla piccola utilitaria. Il conducente non ha nemmeno toccato il freno, schiacciando la Suzuki Swift dei ragazzi contro le auto che la precedevano, e uccidendo sul colpo Alberto, Antonio e Daniela. Era distratto e correva, forse in stato psicofisico alterato. L’alcoltest eseguito alle 6 del mattino, molte ore dopo l’incidente, segnava un valore oltre gli 0,4 grammi di alcol per litro di sangue. Il pubblico ministero, però, in aula ha dichiarato che la guida in stato di ebbrezza non è stata provata per «l’inefficienza delle verifiche a seguito dei soccorsi». Ad amareggiare Mariateresa c’è anche il mancato confronto con l’imputato: «Avrei voluto dirgli: la vedi la mia sofferenza? Puoi solo immaginare,a casa tua, come stiamo? Ma durante il processo non mi ha mai guardato in viso. Io non auguro il male a nessuno, ma vorrei che provasse a capire quant’è grande il dolore che proviamo».
L’amarezza
La nostra vita è finita quel giorno, e da quell’uomo abbiamo avuto solo scuse tardive