Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Lavoro nero e illegalità, irregolare il 91% delle ditte ispezionate La Cisl: «Basta furbetti»
TREVISO È la provincia veneta che l’Ispettorato del Lavoro ha controllato con meno accanimento ma è anche quella in cui la ricerca di possibili irregolarità ha dato esito positivo nel 91% delle aziende soggette alla verifica. La maglia nera della (il)legalità sui luoghi in cui si produce la storicamente florida economia locale tocca proprio a Treviso, e i numeri diffusi dallo stesso organo investigatore non lasciano spazio ad equivoci interpretativi, almeno a parere di Cinzia Bonan, segretario della Cisl di Treviso Belluno. «Serve con urgenza - sostiene - un cambio di marcia da parte dei datori di lavoro e delle loro associazioni di rappresentanza, chiamati a investire senza se e senza ma nella cultura della legalità. Questa drammatica situazione deve condurre a una profonda riflessione non solo il mondo del lavoro ma la società intera». La fotografia, riferibile al 2016, è quella di un parterre di «furbetti» inclini all’autoassoluzione a fronte dei fatturati realizzati e, di conseguenza, del valore sociale della creazione di lavoro. Ma non è un lavoro di qualità allineata con gli standard morali della Marca. Anzi, «i numeri - prosegue Bonan - non fanno che confermare la necessità di potenziare i controlli per arginare fenomeni crescenti come quelli del caporalato e delle infiltrazioni malavitose, del lavoro nero e dello sfruttamento della manodopera». Meno regole più criminalità, perciò, secondo l’equazione che vale in tutti i settori e in ogni tempo e luogo. Gli ispettori hanno visitato 790 aziende con un criterio mirato che ha consentito di ricavare gli elementi per aprire 664 pratiche. Di queste più di nove su dieci hanno confermato l’esistenza di comportamenti scorretti a carico di 858 lavoratori. Di questi, 325 (il 38%) è rappresentato da addetti privi di contratto, dunque «in nero». In 124 casi si è trattato di utilizzo di forme contrattuali atipiche per mascherare rapporti di fatto di lavoro subordinato e 79 volte la distorsione riscontrata è stata quella della interposizione di manodopera (cioè utilizzo di forza lavoro non assunta direttamente ma fornita da terzi). Si tratta, spiega ancora la segretaria, di «false partite Iva e rapporti di collaborazione che eludono il lavoro regolarmente contrattualizzato, una forma di precarizzazione in evidente aumento in provincia di Treviso. Il problema dell’interposizione fittizia di manodopera, elusiva delle norme di legge e fuori dai contratti collettivi che tutelano i lavoratori, risulta poi molto diffusa soprattutto negli appalti di servizi sia pubblici che privati». Molto modesta, infine, la componente di clandestini (8 casi) e soltanto pari a due unità quella di lavoro minorile.