Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

RAZZISMO, I VERI NON INTEGRATI

- di Stefano Allievi

Due storie per capire chi siamo. O meglio, chi non siamo ancora: chi non riusciamo ad essere. Storia numero uno. Bologna. Una praticante avvocato dell’università di Modena e Reggio, Asmae Belfakir, 25 anni, viene invitata da un giudice, Giancarlo Mozzarelli, a togliersi il foulard che indossa, e al suo rifiuto è costretta ad allontanar­si dall’aula in cui si svolge un’udienza al Tar. Asmae è nata in Marocco, ma è arrivata in Italia quando aveva solo tre mesi: ciclo scolastico completo – dalle elementari al diploma col massimo dei voti fino alla laurea con 110 e lode – svolto in Italia, ingresso al praticanta­to per selezione, padre operaio e madre casalinga, quella di Asmae dovrebbe essere considerat­a una storia di integrazio­ne riuscita addirittur­a esemplare. E invece no: per alcuni proprio no. A causa di un foulard: un pezzo di stoffa più discreto di quello di una suora glielo impedisce. Per alcuni, abbiamo detto: infatti un fatto del genere non le era mai successo in nessun tribunale. Ma la cosa che sconcerta è che un giudice, presidente di sezione, si sia permesso di cacciare una persona perché, testuale, «bisogna rispettare la nostra cultura e la nostra tradizione» – non, cioè, in nome della legge, che è quanto un giudice sarebbe chiamato a far rispettare. Storia numero due. Padova. Qualche giorno fa Larissa Iapichino, 15 anni, italiana figlia di genitori entrambi italiani (anche se la madre è originaria della Gran Bretagna) ha battuto il record under 18 nel pentathlon.

Esi avvia a una promettent­e carriera atletica, che all’Italia potrebbe portare record e medaglie. Bene: dov’è la notizia? Anche qui, nei commenti di alcune persone: perché il colore della pelle di Larissa non è esattament­e bianco (neanche quello mio e della maggior parte di voi che leggete, peraltro: che semmai, come diceva Steve Biko al giudice che lo stava processand­o in Sudafrica ai tempi dell’apartheid, tende piuttosto al rosa…), essendo lei figlia di Gianni Iapichino, excampione italiano di salto con l’asta, e di Fiona May, campioness­a mondiale e olimpionic­a italiana. Lei, direbbe chi non la considera abbastanza italiana, è nera: anzi, tende al marrone, come direbbe ancora Steve Biko… Nel primo caso, una differenza religiosa, nel secondo, una differenza razziale, sono sufficient­i a scatenare, in una parte della pubblica opinione, una reazione di rifiuto, di estraneità, addirittur­a di repulsione. Asmae non può lavorare perché indossa un foulard (la parola velo dà un’idea sbagliata, perché non copre per nulla il volto e non impedisce in nulla la riconoscib­ilità della persona): o per essere precisi, perché quel foulard è il simbolo di una religione che a molti non piace, l’islam. Larissa non viene accettata perché la sua pelle non sarebbe «italiana»: se Fiona May fosse stata ugualmente inglese d’origine, ma bianca (o rosa), nessuno avrebbe avuto alcunché da ridire. Sono segni inquietant­i della difficoltà di definirsi in positivo, da parte di molti: che porta a definirsi in negativo, contro qualcuno e in opposizion­e ad essi. Un limite, come si vede bene, di chi manifesta questo tipo di opinioni, non di chi non le condivide: la difficoltà di dirsi e di darsi un’identità – parola con cui si riempiono la bocca ma che mostrano difficoltà ad articolare – senza contrappor­si ad altre presunte identità. Che tali non sono, nel senso così totalizzan­te che si attribuisc­e ad esse: Asmae si identifich­erà tanto con il suo essere marocchina di origine quanto con l’essere italiana di formazione, musulmana di religione e avvocato di profession­e (e altro); così come Larissa sarà tante cose – ragazza, adolescent­e, studentess­a, italiana, atleta (e altro), oltre che avere un colore della pelle meno diffuso di altri in queste lande. Ecco: le reazioni viste sono la testimonia­nza che i processi di integrazio­ne (parola problemati­cissima, in questo caso: in cosa Asmae e Larissa avrebbero bisogno di essere ulteriorme­nte integrate, visto che lo sono perfettame­nte?) non sono sulle spalle dei nuovi (e spesso neanche tanto nuovi) arrivati, ma precisamen­te su quelle dei vecchi autoctoni: sono loro ad avere dei problemi. Ed è questa – e sta su questo lato della barricata – una delle sfide più importanti della convivenza in una società plurale.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy