Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Il mito Raffaello Sessanta opere in mostra a Bergamo
L’esposizione fino al 6 maggio alla GAMeC Sessanta opere dal ‘500 al contemporaneo Da Perugino a Paolini e Vezzoli
L’aureola, il dardo e la collana. L’intervento di Giulio Paolini sull’immagine del San Sebastiano di Raffaello parte dai tre elementi distintivi del dipinto del maestro di Urbino: nel suo Studio per Estasi di S. Sebastiano la freccia fuoriesce dalla tela, in un’opera che entra come una lama nella specificità del dipinto, marcandone gli aspetti colti. Il lavoro è stato creato dall’artista concettuale per la mostra «Raffaello e l’eco del mito», da domani al 6 maggio alla GAMeC di Bergamo. Ed ecco il coup de théâtre della rassegna - curata da Maria Cristina Rodeschini, Emanuela Daffra e Giacinto Di Pietrantonio, un progetto di Fondazione Accademia Carrara in collaborazione con GAMeC, in coproduzione con Marsilio Electa -: l’opera di Paolini «ruba» il posto alla tavola raffaellesca nella sala 4 dell’Accademia Carrara. La mostra propone un originale excursus attraverso 60 opere, che raccontano l’inesauribile mito di Raffaello Sanzio (1483-1520), omaggiato, citato, imitato, rivisitato e «saccheggiato» lungo sei secoli, fotografando come la sua ricerca del Bello e dell’Armonia sia divenuta paradigma inossidabile della storia dell’arte. Di rara compostezza compositiva, il San Sebastiano dal volto femineo del pittore rinascimentale fa da fil rouge all’intera indagine espositiva. Si parte dagli anni della formazione e dai maestri. In primis il padre Giovanni Santi, capo di una fiorente bottega e il Perugino, Signorelli, Pintoricchio. La sorprendente progressione della pittura di Raffaello - tra il 1500, anno della prima commissione, e il 1504, data della partenza per Firenze - è nella sezione che riunisce 10 capolavori autografi del «giovane magister»: dall’intensa Madonna Diotallevi della Staatliche Museen-Gemäldegalerie di Berlino alla Croce astile dipinta del Poldi Pezzoli di Milano, dal San Michele (che riecheggia Bosch) dal Louvre di Parigi a quel Ritratto di giovane, dal Palais des Beaux-Arts di Lille, che ci guarda con un pizzico di divertimento. Fino alla réunion dei vari elementi della Pala Colonna (Met di New York) e della Pala del beato Nicola da Tolentino. Nel focus che esplora le origini del San Sebastiano della Carrara, l’opera di Sanzio è posta in dialogo con quelle di autori che hanno affrontato sia lo stesso tema iconografico - con esempi del Perugino (dall’Ermitage di San Pietroburgo), Pietro de Saliba, Giovanni Antonio Boltraffio - sia il genere del ritratto sullo sfondo di paesaggio, come il fiamminga Memling e il suo meditativo Ritratto d’uomo (Gallerie dell’Accademia, Venezia). Nella sala splende il masterpiece di Raffaello Ritratto di Elisabetta Gonzaga (Uffizi di Firenze), effigiata nella sua eleganza discreta. È invece l’iconica Fornarina (da Palazzo Barberini, Roma) a risvegliare il modello del genio urbinate nel primo Ottocento. Quella giovane donna dal lieve sorriso e con le chiome nascoste dal turbante diventa l’emblema romantico. «Il personaggio Raffaello - spiega Fernando Mazzocca, nel comitato scientifico - , artista adorato dai potenti e fortunato in amore, piace moltissimo». E se per il neoclassico Mengs Raffaello era l’esempio stilistico da seguire, autori come Sogni, Gandolfi, Schiavoni e Mussini immortalano nelle loro tele il rapporto amoroso tra Raffaello e la cortigiana. L’eco di Sanzio varca la soglia del Novecento e della contemporaneità. L’ultimo capitolo della rassegna si snoda tra l’ironia delle posizioni avanguardistiche e le rivisitazioni sotto forma di rimandi o tributi. Da de Chirico a Picasso - dalla Pinacoteca di Brera, Milano, La Loge - , da Spalletti a Ontani, ma anche Christo, Beecroft, Galliani e Francesco Vezzoli, che in Selfportrait as a self portrait (After Raffaello Sanzio) sovrappone il proprio volto a quello di Raffaello del celebre autoritratto degli Uffizi.