Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
La bozza di Zaia «Vera autonomia in cinque punti»
Le osservazioni e la risposta al testo di Roma
VENEZIA Superamento «da subito» della spesa storica. Compartecipazione regionale «a più tributi». E si continui a trattare sulle materie, alcune delle quali delineate con eccessive «approssimazione e vaghezza». Il governatore Luca Zaia risponde alla proposta del governo sull’autonomia. Con una nuova bozza d’intesa.
VENEZIA L’amarezza per un testo «identico» a quello spedito a Lombardia ed Emilia Romagna, che «contravviene la ratio del regionalismo differenziato» e ripropone «una logica di uniformità che non soddisfa», frustrando le intenzioni del governatore Luca Zaia (e del sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa, stando alle sue ultime dichiarazioni) di cucire l’autonomia in «maniera sartoriale» addosso alle specifiche esigenze del Veneto. «L’inaccettabile» proposta di calcolare le risorse necessarie a fronteggiare le nuove competenze col criterio della spesa storica, risalente ai tempi di Gaetano Stammati ministro del Tesoro, 1977. Lo stupore per «la vaghezza» che caratterizza alcune delle materie affrontate ai tavoli tecnici ministeriali, uno dei quali, quello dedicato ai Rapporti internazionali e con l’Ue, che «addirittura non è nemmeno stato convocato».
Sono solo alcuni dei rilievi contenuti nelle controdeduzioni firmate dal governatore Luca Zaia (insieme al collega lombardo Roberto Maroni) e spedite mercoledì a Roma, in risposta alla bozza recapitata venerdì 2 febbraio a Palazzo Balbi dal ministero degli Affari regionali. Una lettera puntuale a cui viene allegata una controproposta formale, composta da cinque articoli, il più importante dei quali è certamente quello dedicato alla modalità per l’attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia invocate dal Veneto. Vi si chiede infatti in primo luogo «la compartecipazione al gettito dei tributi erariali maturato nel territorio della Regione o una riserva di aliquota determinata sugli stessi» (è la riproposizione del principio dei 9/10 delle tasse più volte ribadito da Zaia, una sottolineatura resa necessaria dal fatto che nella bozza del governo il tema è completamente scomparso). In secondo luogo, un «radicale superamento del criterio della spesa storica e l’individuazione di criteri che tengano conto delle specificità territoriali e confinarie della Regione Veneto» (leggasi i vicini «speciali» Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia).
Dallo scambio intercorso questa settimana (bozza del governo-controdeduzioni di Zaia e Maroni-nuova proposta della Regione), che il Corriere del Veneto ha potuto leggere, emerge in modo evidente la distanza tra ciò che il Veneto chiede e ciò che lo Stato è disposto a cedere, una lontananza che non si ritrova sul piano politico tra Zaia e Bressa (protagonisti al contrario di un’inaspettata sintonia) e che difatti Palazzo Balbi imputa alle «tecnostrutture romane», ai «burocrati che perderebbero le loro rendite di posizione», ai «grand commis che al seguito delle competenze dovrebbero mollare la poltrona e lo stipendio».
Nella bozza partita da Roma, che non solo è un «intesa» finita e giuridicamente vincolante ma perfino di durata decennale, tre sono gli elementi di criticità: il riferimento esplicito alla spesa storica di cui si è detto (e che il governo si impegna a superare «a medio termine» e cioè non prima di 5 anni), definito da Zaia e Maroni «inaccettabile» con contestuale pretesa che sia archiviato «fin da subito»; l’insistente sottolineatura, almeno una decina di volta nei capitoli dedicati alle 5 materie trattate (sanità, ambiente, lavoro, istruzione e rapporti con l’Ue), del rispetto dei «vincoli di bilancio», a riprova della rigidità del governo in tema di autonomia fiscale; l’utilizzo del criterio del «fabbisogno standard» (che è cosa diversa dal «costo standard») che mal si applicherebbe ad una realtà virtuosa, ad alta qualità dei servizi, come il Veneto, col rischio che le nuove funzioni non abbiano le dovute coperture finanziaria. A questo si aggiunge che «a fronte della corretta individuazione del criterio della compartecipazione», la bozza statale fa riferimento al «gettito di un tributo erariale» (la Regione già oggi compartecipa all’Iva), quando invece il Veneto vorrebbe fossero «più tributi»: una limitazione giudicata «irragionevole» e per questo tolta nella versione rispedita a Roma, dove si rinvia ad una fase successiva per l’individuazione dei tributi, da un punto di vista «quantitativo» e «qualitativo». Di fatto, c’è piena condivisione soltanto sulla Commissione paritetica Stato-Regione chiamata a monitorare i profili finanziari del regionalismo differenziato.
Certo il negoziato prosegue, come scrive Zaia nella lettera, sia sulle materie trattate, le cui conclusioni «non sono definitive ma rimangono aperte», sia sulle materie «non considerate in questa fase», ma la preoccupazione è forte e se ne fa interprete il segretario
Renato Mason (Cgia) Zaia non deve firmare, ci sono vincoli negativi per il Veneto nella bozza scritta dal governo
della Cgia di Mestre Renato Mason: « Zaia non deve firmare. È vero che la trattativa non è arrivata a conclusione ma qui si stanno fissando dei principi che rischiano di vincolare negativamente l’accordo che il Veneto sarà chiamato a definire con il nuovo esecutivo. Senza contare che non viene risolto il nodo del residuo fiscale, 13,5 miliardi. Il mandato dei 2 milioni di veneti che si sono espressi al referendum è chiaro e non va tradito».