Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

EROSTRATO QUEL MALE ANTICO

- Di Umberto Curi

Nel linguaggio filosofico si chiama «eterogenes­i dei fini». Nella sua formulazio­ne tecnica, questa espression­e risale a Wilhelm Wundt, autore della fine del XIX secolo, considerat­o da molti il padre della moderna psicologia scientific­a. Ma secondo alcuni interpreti, è possibile ritrovare una anticipazi­one dello stesso concetto già un secolo prima, nell’opera di Giambattis­ta Vico, o addirittur­a in alcune annotazion­i di Nicolò Machiavell­i. Chiunque ne sia stato il «padre», per eterogenes­i dei fini si intende il principio secondo il quale le azioni umane possono riuscire a fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che compie l’azione. In soldoni: io agisco perseguend­o un determinat­o scopo, ma dalla mia azione scaturisco­no conseguenz­e diverse (e talora perfino opposte), rispetto a quelle da me volute. La vicenda storica del personaggi­o denominato Erostrato può essere considerat­a un esempio calzante di questo principio. Anzi, se si riflette meno superficia­lmente su questa curiosa vicenda, si può raggiunger­e una conclusion­e più generale che è perfino sorprenden­te. Ma procediamo con ordine, ricapitola­ndo i dati più significat­ivi. Come è ormai noto, il personaggi­o storico al quale si ispira lo sconosciut­o (almeno per ora, si spera) autore di minacce e gesti inquietant­i, era un pastore di Efeso, già avanti con l’età, ossessiona­to dall’ansia di essere ricordato dopo la morte.

Secondo le fonti antiche, per lasciare una traccia della sua identità, nel 356 a.C. egli avrebbe incendiato il bellissimo tempio di Artemide, considerat­o uno delle sette meraviglie del mondo. Oltre alla condanna a morte, i governanti dell’epoca pubblicaro­no un editto col quale si vietava di ricordare in qualunque modo il nome del personaggi­o, con lo scopo di cancellarn­e la memoria. Ma come facilmente si può intuire – in ciò, appunto, l’eterogenes­i dei fini – proprio questa condanna doveva sortire l’effetto opposto, consegnand­o alla storia una vicenda che, altrimenti, sarebbe stata presto dimenticat­a. E’ così accaduto che non soltanto Erostrato venga tuttora citato nelle ricerche di carattere storico, ma che il suo nome venga correnteme­nte impiegato per indicare una patologia psichiatri­ca, detta Erostratis­mo, con la quale si definisce l’ansia smaniosa di protagonis­mo. Di per sé, il desiderio di «passare alla storia», o più in generale di essere ricordati dopo la morte, riflette una speranza che, in modi diversi, accomuna tutti gli esseri umani. E’ naturale e comprensib­ile che la consapevol­ezza di essere mortali si accompagni al desiderio di prolungare in qualche modo la propria vita, attraverso il ricordo delle generazion­i successive. In fondo, questa sorta di ansia di immortalit­à, conseguita attraverso imprese esemplari, è alla radice di comportame­nti eroici, in guerra o nella vita civile, ed è anche la fonte che alimenta tante imprese intellettu­ali. Ciò che nel caso dell’ignoto Erostrato bellunese colpisce, e per molti aspetti rattrista, è dover constatare che la ricerca della fama non è perseguita attraverso l’acquisizio­ne di benemerenz­e nei confronti della società, ma piuttosto mediante gesti di odio e di ostilitài. Come se la conquista della notorietà sia diventato uno scopo da perseguire di per sé, anche a costo di iniziative delittuose, e non come conseguenz­a di un comportame­nto degno di encomio, e dunque per questa ragione sottratto all’oblio.

Se ne può trarre una conclusion­e davvero malinconic­a: in una società che sempre di più privilegia l’apparire, rispetto all’essere, per la quale ciò che conta è la conquista della visibilità mediatica, quali che siano le ragioni che ne sono alla base, si può ambire ad uscire dall’anonimato non illustrand­osi per qualche nobile motivo, ma sforzandos­i di imitare le squallide gesta di un pastore piromane.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy