Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Neri Pozza e Lea Quaretti, frammenti di un amore
Pozza ha sempre scritto di storia o di memoria, e in entrambi i casi i libri che pubblicò in vita intrecciavano col lettore uno scambio di pensieri che si contraddistingueva per la discrezione e il pudore, quasi che una immediata trasparenza dei sentimenti lo esponesse indifeso; d’altronde anche negli incontri diretti mescolava con imprevedibile agilità di umori franchezza e severa burberità, ogni volta cercando uno scudo contro le emozioni per conservare il più lucido controllo di sé. Ebbene, questi Frammenti di un discorso interrotto (Neri Pozza, pp. 160, € 12,50), che ora il fidato Angelo Colla pubblica vent’anni dopo la sua scomparsa (1988) con il loro titolo originario, certo conservano la suggestione dei Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes, ma crescono attorno a una commozione che freme per rivelarsi nella scrittura e poco si preoccupa di diventare addirittura invadente, al punto di raccomandarne la pubblicazione postuma. Ormai del sentimento che legò Pozza a Lea Quaretti per trentasei anni sappiamo molte cose che in vita gli amanti mantennero riservate, ma mai come in queste poche pagine scritte all’indomani della morte di lei (1981) cercando conforto nei giorni terribili del lutto e della solitudine esso esplode travolgente, bisognoso di rassicurarsi non solo di esserci stato, ma capace di riempire di sé ogni istante dell’esistenza, ogni gesto, ogni pensiero, fino a costituire l’intima ricchezza di una vita di coppia che non sa immaginarsi senza l’altro: «Quando si è disegnata l’esistenza in un cero modo, riempiendo insieme i vuoti - spesso in modo felice e amoroso , che si sta a fare qui, tra gente distratta e affannata di nulla?» Filo conduttore degli anni trascorsi insieme è la serie delle case nelle quali sono vissuti, soprattutto delle case di lei, che le ha scelte, riempite, animate, mentre lui le raggiungeva per starle vicino, case di Venezia e del Lido, di Vicenza e di Cortina, di Asolo e di San Fise, tutte accoglienti, luminose, che si aprivano su scenari indimenticabili, che servivano a scaldare amicizie e a difendere il silenzio e la solitudine, case che cambiavano nel tempo nel segno di una fedeltà che resisteva coriacea e di una varietà che riempiva ogni volta la vita dell’una e dell’altro. La concretezza delle cose stempera il rimpianto e riaccende la memoria, costringe a una precisione che controlla la commozione - che pur «bisogna concedere all’uomo ferito» -, restituisce a ogni episodio la sua intima verità, la sua gioia e il suo dolore. «Tu le dice settantenne Neri innamorato - eri riguardosa, trepida, gentile di te stessa; ti donavi con un abbandono gentile chiudendo i grandi occhi», «avevi del tuo corpo un rispetto quasi protervo», ma prima di abbandonare le sue cose le visita una a una, aprendo gli armadi, vuotando i cassetti, riconoscendo gli abiti, le camicette, le sciarpe, solo i suoi «quaderni», dove aveva raccolto per anni i diari, gli sono interdetti per un esplicito divieto di lei, che aveva anche deciso di non pubblicare più dopo l’insuccesso dell’Estate di Anna (1955), anche se a scrivere aveva continuato fino alla fine. C’è la sofferenza di Lea per l’ingiusto rimprovero che la Chiesa preconciliare non smise di rivolgerle per l’adulterio che aveva accettato non senza tormenti; c’è il desiderio di un figlio di Neri e il rammarico di lei per non poterne avere; c’è la gioia di dormire accanto ascoltando nel buio il respiro dell’altro e il piacere di un’ultima carezza prima di cedere al sonno; c’è il tè condiviso al mattino e il rito della sua preparazione; c’è la tenerezza dei momenti di intimità quando «il cuore ci batteva precipitosamente». Da queste pagine resta fuori la vita pubblica, l’attività editoriale, resta fuori il burbero Neri che noi abbiamo frequentato per anni, ma si rivela ilare e solare un uomo anziano e innamorato che non scherza «mai coi sentimenti», c’è, insomma, una vita di coppia che non ha conosciuto noia o stanchezza.