Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Lega e Forza Italia: «Il giudice? Ha scoperto l’acqua calda» Il Pd: «Servono nuove regole»
VENEZIA Ma quindi è bene che i partiti rimangano refrattari ai principi democratici oppure no? Oppure è giusto che anche i partiti, nella loro vita e organizzazione interna, si aprano e accettino le regole della convivenza? La sentenza del giudice di Roma, che ha respinto il ricorso dell’attivista padovana esclusa dalle Parlamentarie — sentenza nella quale si dice, in sostanza, che anche nel partito dell’«uno vale uno» alla fine decide il «Capo Politico» —, ha riaperto un dibattito in realtà mai sopito. Sul caso, come abbiamo raccontato ieri, la dottrina da tempo è divisa. Ma anche la politica, in realtà, segue ormai percorsi diversi.
«Altro che uno vale uno, uno non vale l’altro — chiosa Piero Longo, penalista, da anni in parlamento con Forza Italia — La realtà è che il giudice ha scoperto l’acqua calda. Si è sempre fatto così, ed è giusto che sia così». Longo sul punto è chiaro: per lui — come per altro per la maggioranza della dottrina — le regole democratiche devono restare fuori dalla vita interna dei partiti. «Non è vero che tutte le organizzazioni debbano rispettare tutti i crismi della uguaglianza e della parità di genere — sostiene —. Io posso fare un’associazione in cui dico che entrino solo i maschi o solo le persone di sesso femminile. È chiaro che nel pubblico non lo potrei fare, ma nel privato sì. I partiti, che sono associazioni non riconosciute, seguono la stessa logica. L’accesso al partito non può e non deve essere libero: questa teoria di pubblicizzare tutto non va bene. E per altro è quello che dice la Costituzione». Sulla stessa linea è anche Gianantonio Da Re, trevigiano, segretario nazionale della Lega. Che è uno di quelli che nel Carroccio decide: «Nella mia storia non mi è mai capitato che un escluso si rivolgesse al giudice — afferma —. Poi chiaro che chi è premiato è contento e chi non lo è insorge e si fa da parte; ma questa è la democrazia, è da sempre così». Quindi nessun intervento normativo per regolare la vita dei partiti. «E che senso avrebbe? — sottolinea Da Re — Se non ti va bene vai via, non ti ha mica ordinato il dottore di iscriverti ai Cinque stelle o alla Lega. Certo, la questione crea un po’ di problemi a loro, perché andavano in giro a dire che erano tutti uguali. Ma sa, quando Di Maio diventa il candidato premier con 400 clic o i computer dei grillini erano tutti impallati oppure c’è qualcosa che non va. Il giudice di Roma — prosegue — non ha detto nulla di strano. Un partito politico funziona così, con uno statuto e un ordinamento proprio. Per altro quando parliamo di elezioni in parlamento siamo di fronte alla massima rappresentazione di un partito: per cui devi avere la massima garanzia sugli uomini che scegli. Le abbiamo viste le transumanze dell’ultima legislatura...». Ma non tutti, come detto, la pensano alla stesso modo. Così Felice Casson, ex magistrato e senatore (uscente) di Mpd: «I partiti — sostiene — costituiscono una parte importante della nostra società e non possono essere lasciati nelle mani private, hanno bisogno assoluto di una regolamentazione: non solo dal punto di vista istituzionale e costituzionale, ma anche sotto il punto di vista dei fondi e della gestione». E dello stesso avviso è il senatore Pd Giorgio Santini: «Durante quest’ultima legislatura è stata depositata proprio una proposta di legge per regolamentare i partiti, proposta che però è rimasta ferma — dice —. Noi come Pd, comunque, abbiamo già uno statuto che prevede il riferimento alle primarie e a scelte democratiche. Dovrebbero copiarlo anche gli altri».