Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
LA SOCIETÀ DEI «SOLI» RIMOSSA
Chissà se l’attuale, fervida fantasia preelettorale dei partiti (erede evidente dell’immaginazione al potere di sessantottina memoria) non pensi anche a questo. Cioè a proporre – come ha fatto in Gran Bretagna il primo ministro Therese May – un “ministro per la Solitudine”. In realtà si tratta di un sottosegretariato che raccoglie una sfida apparentemente paradossale. Infatti sembra curioso che si possa parlare di solitudine oggi, in una società di massa così iperconnessa e dominata dai media e dai social nonché da mille tecnologie comunicative. Eppure già nel 1950 un sociologo americano, profeticamente, aveva scritto un libro intitolato “La folla solitaria”: insieme ed al tempo stesso soli. Oggi, ad esempio, sapere che in Veneto quasi una famiglia su tre in realtà è fatta da una persona sola permette di avvicinarsi alle dimensioni del fenomeno della solitudine. Un rapporto della Croce rossa inglese calcola che in Gran Bretagna 200 mila persone anziane non hanno avuto una conversazione con un parente o amico per più di un mese mentre l’85 per cento dei giovani disabili soffre di solitudine. Anche le giovani madri e i rifugiati sono stati individuati come gruppi a rischio di isolamento. Si ritiene che la solitudine abbia un impatto devastante sulla salute mentale e faccia aumentare di un terzo il rischio di morte prematura (dai problemi cardiaci alla demenza senile): la solitudine, è stato detto, fa male come fumare 15 sigarette al giorno.
In Italia, secondo Eurostat, il 13 per cento non ha nessuno a cui rivolgersi in caso di necessità mentre il 12 per cento non ha nessuno con cui confidarsi: ed infatti Telefono Amico riceve 50 mila telefonate all’anno. In Europa solo la Francia è messa peggio. Nel sentimento della solitudine si mescolano disagi psichici e relazionali – come quelli degli anziani soli, di chi vive un lutto o una separazione coniugale, ma anche di adolescenze difficili – con l’ideologia imperante dell’individualismo senza limiti. Così la nostra socialità, come un bisogno compresso, esplode casualmente, oscillando tra ondate di compassione e carità e scoppi di aggressività e di livore. O aggrumandosi su di un evento mediatico a cui reagire emotivamente sincronizzando la propria gioia o il proprio dolore. Ma queste occasioni si consumano in fretta: poi la fiammata di fratellanza si esaurisce e chi viveva in solitudine si ritrova com’era.
Le relazioni – di amicizia, di vicinato, le parentele – sono una ricchezza, un vero capitale sociale da creare, mantenere, gestire. Sfidato però da una società di contatti anoressici, fatta di famiglie minime, di figli unici, di coppie senza figli, di anziani soli e magari non autosufficienti. Chissà se la solitudine entrerà nell’agenda della politica: è bene sperarlo, senza però crederci troppo