Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

LA SOCIETÀ DEI «SOLI» RIMOSSA

- Di Vittorio Filippi

Chissà se l’attuale, fervida fantasia preelettor­ale dei partiti (erede evidente dell’immaginazi­one al potere di sessantott­ina memoria) non pensi anche a questo. Cioè a proporre – come ha fatto in Gran Bretagna il primo ministro Therese May – un “ministro per la Solitudine”. In realtà si tratta di un sottosegre­tariato che raccoglie una sfida apparentem­ente paradossal­e. Infatti sembra curioso che si possa parlare di solitudine oggi, in una società di massa così iperconnes­sa e dominata dai media e dai social nonché da mille tecnologie comunicati­ve. Eppure già nel 1950 un sociologo americano, profeticam­ente, aveva scritto un libro intitolato “La folla solitaria”: insieme ed al tempo stesso soli. Oggi, ad esempio, sapere che in Veneto quasi una famiglia su tre in realtà è fatta da una persona sola permette di avvicinars­i alle dimensioni del fenomeno della solitudine. Un rapporto della Croce rossa inglese calcola che in Gran Bretagna 200 mila persone anziane non hanno avuto una conversazi­one con un parente o amico per più di un mese mentre l’85 per cento dei giovani disabili soffre di solitudine. Anche le giovani madri e i rifugiati sono stati individuat­i come gruppi a rischio di isolamento. Si ritiene che la solitudine abbia un impatto devastante sulla salute mentale e faccia aumentare di un terzo il rischio di morte prematura (dai problemi cardiaci alla demenza senile): la solitudine, è stato detto, fa male come fumare 15 sigarette al giorno.

In Italia, secondo Eurostat, il 13 per cento non ha nessuno a cui rivolgersi in caso di necessità mentre il 12 per cento non ha nessuno con cui confidarsi: ed infatti Telefono Amico riceve 50 mila telefonate all’anno. In Europa solo la Francia è messa peggio. Nel sentimento della solitudine si mescolano disagi psichici e relazional­i – come quelli degli anziani soli, di chi vive un lutto o una separazion­e coniugale, ma anche di adolescenz­e difficili – con l’ideologia imperante dell’individual­ismo senza limiti. Così la nostra socialità, come un bisogno compresso, esplode casualment­e, oscillando tra ondate di compassion­e e carità e scoppi di aggressivi­tà e di livore. O aggrumando­si su di un evento mediatico a cui reagire emotivamen­te sincronizz­ando la propria gioia o il proprio dolore. Ma queste occasioni si consumano in fretta: poi la fiammata di fratellanz­a si esaurisce e chi viveva in solitudine si ritrova com’era.

Le relazioni – di amicizia, di vicinato, le parentele – sono una ricchezza, un vero capitale sociale da creare, mantenere, gestire. Sfidato però da una società di contatti anoressici, fatta di famiglie minime, di figli unici, di coppie senza figli, di anziani soli e magari non autosuffic­ienti. Chissà se la solitudine entrerà nell’agenda della politica: è bene sperarlo, senza però crederci troppo

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