Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Hugo, Balzac, gli
Incontri Scambi intensi con gli artisti dell’epoca. In mostra le opere ispirate dai due scrittori francesi Il fotografo Edward Steichen dedicherà allo scultore una serie di scatti al chiaro di luna
Se la fonte de La porta dell’Inferno sono le liriche dantesche, i Fleurs du Mal di Charles Baudelaire ne sono il sottotesto. Del poeta, Rodin è un appassionato, tanto da illustrarne una celebre edizione. Rodin sembra rapportarsi alla letteratura quando sente che dalle parole, come per la creta, si può estrarre il sistema linfatico.
Reiner Maria Rilke stringe un rapporto di adorazione con Rodin e ne esce soggiogato. Folgorante l’incontro con George Bernard Shaw: lo scultore lo immortala con un busto e lo scrittore arriva a farsi fotografare nudo nella stessa posa de Il pensatore.
Dall’incontro con Victor Hugo è Rodin a uscirne intimidito, naturalmente. Accade nel 1883, il poeta è ottantenne. L’incarico è un busto. Lo scultore appunta: «Durante più di un mese, sono tornato da lui tutti i giorni. Ho lavorato nella sua veranda e all’ora di pranzo lo osservavo furtivo, ma attento perché non voleva posare. Si lasciava osservare e da tutti i lati – non gli dava fastidio – ma non voleva posare. Allora l’ho riguardato in tutta coscienza. E ho potuto ottenere così un Hugo vero».
Tradurlo in scultura non sarà un lavoro facile, né il loro rapporto semplice o empatico. Da allora sembra che Rodin abbia pensato più volte a un monumento post-mortem. Lo dimostrano alcuni disegni. Ma quando verrà il momento, nel 1889, su commissione del direttore del Museo di Belle Arti, ne verrà fuori qualcosa che susciterà scalpore.
Il suo Monumento a Victor Hugo (in mostra a Treviso, dal Musée Rodin, come le altre opere) ha un debito con quell’incontro e un eco nell’antichità: il Vecchio pastore detto Seneca morente, un marmo nero e alabastro del II secolo d.C., è un anziano saggio con la fine che gli alita sul collo. Rodin modella un vecchio uomo possente con la testa abbassata, a differenza della statuetta antica, eppure echeggia quasi lo stesso silenzio sorpreso. Un dubbio corrosivo, un’improvvisa ombra lunga.
Al corpo nudo, abbandonato, pone sulle ginocchia un drappo. La mano destra sorregge la testa e il braccio è tutto proteso in avanti. La composizione prende ancor più forza drammatica dalle muse che aleggiano intorno alla figura del vecchio maestro. Sono inginocchiate sulla roccia e lo avvolgono sensuali a ispirarlo.
Una delle due, com’è solito fare Rodin, nasce come studio e poi come opera a sé. È La meditatrice: una sinuosa figura di donna, che sembra girare su se stessa quasi danzando. La inserirà nel quadro scultoreo, allungandola verso il capo del poeta pensieroso.
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Auguste Rodin, «Monumento a Victor Hugo» detto «del Palais Royal» (dopo il 1900), Parigi, Musée Rodin
Auguste Rodin, «Balzac», studio finale (1898), Parigi, Musée Rodin
Edward Steichen, «Incontro alla luce di mezzanotte» (1908), Paris, Musée Rodin Il monumento, presentato nel 1897, comunque non piace a critici e committenti. E sarà solo nel 1909 che si scioglieranno i dubbi e il sottosegretario alle Belle Arti lo fa realizzare, destinandolo al Palais Royal.
In Rodin la dimensione monumentale è quanto di più anti-celebrativo possano immaginare i suoi contemporanei. Alla retorica del monumento contrappone un’antiretorica, una narrazione parallela che apre a un altro luogo, recondito, umano, fragile e vitale. Così succede per il monumento a Balzac, commissionatogli l’anno stesso del suo incontro con Victor Hugo.
Honoré De Balzac è scomparso dieci anni dopo la nascita di Rodin, nel 1850. Ed è stato proprio Victor Hugo a recitare l’orazione funebre al Père Lachaise. Realizzare un monumento a un’icona della Francia intera è una sfida che seduce e angoscia lo scultore. Nei tanti disegni e modelli che lascia, si trova tutta la parabola del processo creativo. Raccoglie le foto dello scrittore, ritrae gli abitanti attorno a Tours per cercare tracce di fisionomie simili, lavora su un Balzac in redingote braccia incrociate, piedi accavallati e sguardo fiero. Un Balzac in saio dominicano, volto curioso e rilassato. E varie possibilità di un Balzac nudo. Ma quello che presenta nel 1898 nelle stanze del Salon lascia increduli i committenti della Società Letteraria parigina, critici e pubblico.
Balzac è in piedi, avvolto da un grande mantello. Sbuca la testa, un marchingegno possente, quasi incassata, il mento leggermente alto, fronte corrucciata, la bocca in una smorfia, il naso aquilino pronunciato, i folti capelli quasi un risvolto del manto.
Dov’è la genialità del maestro? Dove sono il trionfo e l’orgoglio, si chiedono tutti. Chi è quest’uomo sgraziato? Eppure è tutto là, in quell’unico blocco, in quel monolite di un’assoluta modernità. Octave Mirbeau, scrittore e giornalista, amico e grande ammiratore, ne è entusiasta: se nel Victor Hugo lo scultore ha fatto uscire «il fracasso dell’Elemento», qui c’è «l’umanità nelle sue differenze».
Rodin, consapevole di ciò che ha fatto, parla dello «sviluppo logico della mia vita di artista». E al giornale Le Matin aggiungerà: «Questa statua farà il suo cammino. È il risultato di tutta la mia vita. Il punto più alto della mia visione». Annuncia: «È mio desiderio di restarne il solo possessore». La Società dei letterati rifiuta la statua. Amareggiato e determinato, la ritira e la colloca nel suo giardino di Meudon. Rinuncia ai fondi raccolti da amici, intellettuali e ammiratori, che la vorrebbero realizzare in bronzo. Bisognerà aspettare fino al 1939 perché le istituzioni francesi decidano di compiere il passo, riconoscendone la maestria.
Edward Steichen, il fotografo che diventerà celebre nei decenni successivi e che già ha avuto modo di ritrarlo più volte, dedicherà a Rodin una serie di scatti al chiaro di luna. È il 1908: il massiccio profilo dello scultore esce sulla sinistra dell’inquadratura, tutto in ombra, la barba folta, assorto, di fronte al pensatore, coi suoi muscoli luccicanti sotto la luce notturna; sullo sfondo, illuminato e sfocato, il Monumento a Victor Hugo sembra osservarli e osservarci.