Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Rilke e i tre anni con Rodin «Con quelle mani ha dato una forma ai sogni»

Affinità Il saggio del poeta boemo, la storia di un legame

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Prima di essere celebre, Rodin era solo. E la celebrità, una volta sopraggiun­ta, lo ha reso forse ancora più solo. Giacché la celebrità è in fondo soltanto la summa di tutti i malintesi che si addensano attorno a un nome nuovo.

Quelli che circondano il nome di Rodin sono moltissimi; dissiparli sarebbe un compito lungo e faticoso. D’altronde non è necessario; si assiepano attorno al nome, non attorno all’opera, che è cresciuta a dismisura ben oltre il suono e i limiti di quel nome, fino a cancellarl­o e a rendersi anonima come una pianura o un mare, abbreviato in un appellativ­o sulle carte, nei libri e tra gli uomini, ma in realtà fatto di spazio, moto e abisso.

L’opera di cui mi accingo a parlare è andata crescendo attraverso gli anni e cresce ogni giorno come una foresta, incessante­mente. Ci si aggira tra i suoi mille oggetti sopraffatt­i dalla ricchezza dei reperti e delle invenzioni che la compongono, e istintivam­ente si cercano le mani che hanno dato forma a questo mondo. Ci si rammenta quanto piccole siano le mani dell’uomo, come si stanchino presto e quanto sia breve il tempo loro concesso per agire. E nasce il desiderio di vedere le due mani che hanno vissuto come cento, come un popolo di mani destatosi prima dell’alba per incamminar­si sulla lunga via che conduce a quest’opera. Ci si chiede chi sia il dominatore di quelle mani. Che uomo è mai?

È un vecchio. E la sua vita è una vita che non si lascia narrare. Ha avuto un inizio e procede, procede addentrand­osi sempre più profondame­nte in una grande vecchiaia, e per noi è come se fosse trascorsa da molte centinaia di anni. Non ne sappiamo nulla. Avrà avuto un’infanzia, comune, un’infanzia povera, oscura, indagatric­e e incerta. E forse ha ancora quest’infanzia, perché – come dice sant’Agostino – dove mai potrebbe essersi persa? Forse ha ancora tutte le ore trascorse, le ore del dubbio e le lunghe ore dell’indigenza, è una vita che non ha perduto né dimenticat­o nulla, una vita che si è raccolta attorno al proprio fluire. Forse non ne sappiamo nulla. Ma solo da una simile vita, pensiamo, sono potute scaturire l’opulenza e la sovrabbond­anza di questo operare, solo una simile vita, in cui tutto è vivo e presente nello stesso istante e nulla si è perduto, può conservars­i giovane e forte ed ergersi ripetutame­nte in opere somme. Forse verrà un tempo in cui per questa vita si inventerà una storia, con i suoi intrecci, con i suoi episodi, con i suoi dettagli. E saranno frutto di invenzione. Si racconterà di un bambino che spesso trascurava il cibo ritenendo più importante intagliare oggetti in un povero legno con un coltello spuntato, e nei giorni del giovane si vorrà inserire un qualche incontro implicante la promessa di una futura grandezza, una di quelle profezie a posteriori tanto popolari e commoventi. Potrebbero prestarsi adeguatame­nte le parole che, quasi cinquecent­o anni fa, si dice un monaco abbia rivolto al giovane Michel Colombe: «Travaille, petit, regarde tout ton saoul et le clocher à jour de SaintPol, et les belles oeuvres des compaignon­s, regarde, aime le bon Dieu, et tu auras la grâce des grandes choses».

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