Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Rodin

«Un grande scultore al tempo di Monet» a cura di Goldin al Museo Santa Caterina di Treviso

- di Marco Goldin

Quando in una notte del 1908, nella campagna di Meudon, dove Rodin ha il suo atelier fuori Parigi, Edward Steichen fotografa la statua monumental­e del Balzac, presentata esattament­e dieci anni prima con risultati ben miseri, fa scaturire un’immagine che resterà assoluta nella definizion­e mai conclusa dell’opera dello scultore. Nella luce dilatata e avvolgente, che conduce verso l’infinito, la notte si vede per chiarità, nel mantello alto della luna che non si vede. Eppure, sparge di sé ogni luogo di quello spazio e di quel tempo, ogni luogo di ogni luogo e di ogni tempo. Nel suo essere inarcato all’indietro, quel corpo ha uno slancio immobile verso l’invisibile nulla della notte. Eppure, la notte è piena d’echi e silenzi, e fruscio d’animali e sogni di uomini e donne. Piena di ricordi, e dolori e rimpianti, e felicità brevi o avvinghiat­e quasi all’eternità. In quella notte, ponendo Balzac al centro del mondo, collocando­lo su un punto che è insieme di sospension­e e galleggiam­ento, e tuttavia anche di sprofondam­ento che non si sa se imminente o lontano, Steichen prova a fissare un punto. Un punto fermo, quant’altri mai, nell’opera mirabile di Auguste Rodin. L’essere, quell’opera, il frutto della vita e del sogno, di quanto appare e di ciò che invariabil­mente scompare. Però lasciando tracce di sé, come la polvere di una cometa in una notte in cui ai camminator­i si mostri la strada. Ha parlato sempre di raccontare la verità, Rodin, di entrare in contatto con la realtà. E non soltanto con il suo guscio, ma con gli occhi spalancati guardare il suo cuore, sentirlo battere, rintocco e rimbombo o velluto lieve della memoria e della sera. Fiorire di uno sguardo incrociato nella folla disordinat­a del mattino, quando la vita dopo la notte riprende e non se ne conosce se non l’annuncio. O ciò che sembra. È stato scultore della pelle e dell’anima. Non si è accontenta­to mai di aggirarsi attorno alla sola forma, ma sempre ha desiderato che la forma potesse diventare la porta dell’interiorit­à, la via per raccontare i sentimenti: «Che tutte le vostre forme, tutti i vostri colori traducano dei sentimenti». In questo modo ha sciolto le vele, immerso nella bellezza che non è giusto definire unicamente senza tempo, poiché se è vero che Rodin ha coltivato l’eterno, lo ha fatto partendo sempre dalla verità di un incontro, trasforman­dolo in una parola ardente: «Per l’artista tutto è bello, perché in ogni essere e in ogni cosa il suo sguardo penetrante scopre il carattere, cioè la verità interiore che traspare sotto la forma. E questa verità, è la bellezza stessa. Studiate religiosam­ente, non mancherete di trovare la bellezza, perché incontrere­te la verità. Lavorate con accaniment­o». Quella verità interiore che è voce, palpito, sussurro impercetti­bile eppure da Rodin percepito e detto nella sua opera. Esprimendo il non apparentem­ente esprimibil­e, egli ha condotto la scultura sul terreno nuovo di una confession­e che non ha l’esacerbato impatto romantico e si fonda invece su un equilibrio mirabile tra sostanza e realizzazi­one. Equilibrio, appunto. Ma tutto sembra partire, annota Rodin, dalla capacità di emozionars­i. Dalla capacità di vivere e amare. Solo da quella tasca segreta della vita possono essere estratte le forme che si tendono fin dentro lo spazio dell’immenso: «Il punto principale è il provare emozioni, amare, sperare, fremere, vivere. Essere uomo prima che artista. La vera eloquenza non si cura dell’eloquenza, diceva Pascal. La vera arte non si cura dell’arte». Il dialogo è silenzioso, come il rumore che fa la neve quando cade e tutto appare una cosa naturale, senza forzature, solo l’empito del destino.

La poetica

Questo artista entra in contatto con la realtà a occhi spalancati

Interiorit­à

Tutto parte dalla capacità di emozionars­i, di vivere e di amare

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Icona Auguste Rodin, «Il bacio» (1881-1882) Parigi, Musée Rodin, una delle opere presenti alla mostra trevigiana a cura di Marco Goldin
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