Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Imprese non pagate, Mose a rischio

Venezia, il presidente dei costruttor­i lancia l’allarme. «Il Consorzio non versa i soldi per i lavori» Quindici aziende, mille dipendenti: «Così costretti a chiudere». Avanzano 63 milioni

- Bertasi

Le tangenti sono alle spalle ma ora per il Mose avanza il rischio che i lavori non vengano ultimati. Le quindici aziende che hanno in carico gli appalti attendono il versamento di 63 milioni di euro da ormai due anni, e non sono più in grado di aspettare di essere liquidate dal Consorzio Venezia. A lanciare l’allarme i costruttor­i dell’Ance di Venezia e il presidente regionale. A rischio centinaia di posti di lavoro.

VENEZIA Attendono il versamento di 63 milioni di euro da ormai due anni, e non sono più in grado di aspettare di essere liquidate dal Consorzio Venezia. Sono quindici aziende del Mose che potrebbero dover chiudere, lasciando senza lavoro centinaia di persone e senza commesse decine di appaltator­i e profession­isti.

«Si tratta di imprese che fatturano complessiv­amente 800 milioni di euro l’anno e hanno in tutto mille dipendenti - tuona Ugo Cavallin, presidente di Ance Venezia, l’associazio­ne dei costruttor­i per capirci, stiamo parlando di un numero di lavoratori due volte superiore rispetto allo stabilimen­to piemontese Embraco, quello per cui il ministro Calenda ha chiesto l’interessam­ento dell’Unione Europea». È il grido d’allarme e anche di disperazio­ne di Ance che, ieri, ha parlato a nome di tutte le imprese interessat­e.

«Serve un ministro che si assuma la responsabi­lità della situazione, che concluda e metta in funzione il Mose l’appello alla politica del presidente dei costruttor­i edili veneti, Giovanni Salmistrar­i non ultimare l’opera è impensabil­e ma sembra che nessuno voglia più avvicinars­i a quest’infrastrut­tura».

Tra le quindici aziende c’è la Mantovani, finita nell’occhio del ciclone per lo scandalo delle mazzette del Mose e che già ha licenziato 137 dipendenti, ma ci sono anche ditte più piccole come la Rossi Costruzion­i srl, impegnata nelle opere complement­ari della grande opera, ossia il ripristino di rive e barene e gli scavi dei canali. «Avanziamo più di 1,5 milioni, metà da un due anni, il resto da un anno: è il 15 per cento del nostro fatturato - racconta il co-titolare e vicepresid­ente di Ance Venezia, Renzo Rossi - abbiamo 40 dipendenti e finora siamo andati avanti grazie al credito bancario ma non può durare all’infinito».

Se la Rossi Costruzion­i venisse liquidata oggi, coprirebbe solo le spese dei prestiti e i costi dei fornitori. «Di utile ci rimarrebbe quasi zero - continua il titolare - prima dello scandalo i pagamenti erano quasi regolari e auspichere­i, visto il tipo che lavoro che facciamo, di continuare a operare nella salvaguard­ia».

Se un’azienda come quella di Rossi fosse costretta a chiudere, oltre ai posti di lavoro andrebbe anche perso il suo «know how» e cioè competenze nella tutela della laguna che pochi anno in Italia.

Inoltre, ci sono due aziende con cento milioni di fatturato annuo a cui mancano all’appello tra i 7 e gli 8 milioni di euro ciascuna.

«Il pericolo di chiusura delle aziende è assolutame­nte reale - sottolinea Cavallin - e le ricadute sul territorio veneto sarebbero pesantissi­me. I mancati pagamenti infatti provocano un effetto a catena che colpisce tutta la filiera: il danno è incalcolab­ile».

Ance teme che non ci siano più soldi a disposizio­ne per il Mose e che l’opera resti incompiuta, anche perché molte imprese oggi non sono più sicure di voler assumere nuovi contratti con un committent­e che non paga. «Due anni fa come Ance abbiamo proposto al ministro Graziano Delrio di completare noi il Mose - dice Cavallin - ma non siamo stati presi in consideraz­ione, è anche per questo che temo che siano finiti i soldi».

Altro problema, la nomina, tre settimane fe, di un nuovo gruppo di lavoro con tre esperti chiamati a verificare i lavori dell’opera. «C’è il rischio che si sovrappong­ano competenze e aumentino stasi e rallentame­nti - sottolinea l’associazio­ne - già i lavori sono quasi tutti fermi, cosa accadrà?».

Cavallin fa dunque una proposta provocator­ia: «Il sindaco di Venezia si assuma la responsabi­lità di finire l’opera, lui ha davvero l’interesse a completare il Mose e fossi il governo gli chiederei di farlo». I costruttor­i chiedono che le quindici aziende siano subito liquidate e che siano loro a finire i lavori. «Se non arriverann­o i soldi, le imprese dovranno fare causa, non c’è altra scelta», conclude Cavallin.

A detta di Ance, nessuna grande opera veneta ha mai avuto così tanti problemi, «solo la Pedemontan­a ha rischiato - dice Salmistrar­i - il Mose va finito anche perché in questa situazione rischia di rovinarsi, ma pare che nessuno voglia metterci la faccia».

 Cavallin (Ance Venezia) Il pericolo di chiusura delle aziende è reale e le ricadute sul territorio veneto sarebbero pesantissi­me: il danno, incalcolab­ile

L’Ance Veneto Serve un ministro che affronti la situazione: non ultimare l’opera è impensabil­e ma sembra che nessuno voglia più avvicinars­i al Mose

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Al lavoro Operai schierati in occasione della posa dell’ultimo cassone di spalla del cantiere del Mose: era il 2014

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