Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Isabella, la beffa: non risulta morta resta a processo
Ieri era fissata l’ennesima udienza per un caso che la vedeva imputata
PADOVA Isabella Noventa, uccisa a Noventa il 15 gennaio del 2016 da un terzetto di menti diaboliche, per un macabro cavillo burocratico va a processo per un caso che la vedeva imputata: manca il certificato di morte.
PADOVA Il fantasma di Isabella Noventa continua a camminare senza pace nelle aule del palazzo di giustizia di Padova, in attesa che qualcuno dica a giudici e magistrati che lei è morta, uccisa a Noventa Padovana il 15 gennaio del 2016 da un terzetto di menti diaboliche e forse dispersa nelle acque di un fiume.
Invece per un bizzarro e macabro meccanismo burocratico il nome della 54enne segretaria di Albignasego non è tra i morti ma nemmeno tra i vivi, e quindi i suoi guai giudiziari le stanno sopravvivendo, occupando il tempo di magistrati, avvocati e cancellieri che si ritrovano costretti, ciclicamente, a iscrivere il suo nome nella lista delle persone da processare, salvo poi rinviare perché ancora un certificato di morte non c’è.
Le indagini, ammesso che alla luce dei fatti abbia ancora senso ricordarsene, riguardano una vecchia storia di favoreggiamento dell’esercizio abusivo della professione medica per la quale era stato coinvolto il fratello Paolo, che con la mamma ancora piange per la tragica fine della sorella e che per quel procedimento ha avuto già abbastanza pensieri.
Pare che Isabella avesse aiutato il fratello a trovare appartamenti dove lui esercitava abusivamente la professione di dentista, senza aver mai conseguito una laurea. Ebbene, ieri il nome di Isabella Noventa era ancora lì, appeso fuori dalla porta dell’aula dove si sarebbe dovuta presentare lei stessa, se il 15 gennaio 2016 l’ex fidanzato Freddy Sorgato non l’avesse ammazzata con la complicità della sorella Debora e dell’amica tabaccaia Manuela Cacco.
Nonostante la sentenza di condanna a trent’anni emessa l’anno scorso a carico dei due fratelli, e a 16 della loro complice, il nome di Isabella non può andare a riposare tra i morti, perché il suo cadavere non è mai stato trovato. È disperso nell’acqua del Brenta, come dice Sorgato, o chissà dove. E fino a quando la sentenza di colpevolezza dei suoi assassini non diventerà definitiva, ossia fino a quando si arriverà al massimo grado di giudizio senza ulteriori rinvii o appelli, Isabella non sarà ufficialmente morta. Non ci sarà un documento a definire se si trovi nel regno dei vivi o delle anime.
La giustizia che insegue i suoi aguzzini è la stessa giustizia che insegue lei, per un reato incommensurabilmente meno grave. Un paradosso in un caso che non trova pace, riesumato dalle televisioni, dalle trasmissioni «d’inchiesta» e che a breve tornerà di nuovo in aula visto che sia la parte civile che la difesa hanno chiesto l’intervento dei giudici di secondo grado dopo la condanna in abbreviato.
Tra qualche giorno dovrebbe essere stabilita la data dell’avvio del processo alla corte d’Assise d’Appello di Venezia. E allora di nuovo il «cinema» ripartirà, di nuovo le telecamere tormenteranno la famiglia e gli avvocati, di nuovo a scavare, a cercare, a capire se c’è da qualche parte qualcosa della vita di Isabella che ancora non sia stato raccontato ai quattro venti.
Il reato che le viene attribuito, tuttavia, non si estinguerà se non a 10 anni dalla sua scomparsa, quando anche per la legge potrà essere dichiarata morta. Insieme a questa «certificazione», che metterà alla parola fine al tormento di una donna, l’anziana mamma di Isabella, che vorrebbe solo avere un corpo da piangere, da curare tra le tombe al cimitero. Ed è quanto di peggio il destino possa riservare a una madre.