Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)
Diario e libro per il figlio «sparito» in Russia
VERONA C’è chi ingaggia feroci battaglie legali. Chi si affida alla rivendicazione pubblica. Chi invoca diritti negati, e intraprende viaggi di speranza e di rabbia. Lui no. Ha scelto la via poetica di un messaggio in bottiglia, dei sassolini disseminati lungo un sentiero. Ovviamente nell’unica (o quantomeno la più efficace) forma possibile oggi: un diario via Facebook. È la storia di Stefano Aloe, 45 anni, docente universitario di letteratura russa a Verona, città dove è cresciuto. Ed è a Mosca che lo porta il suo cuore: lì vive il figlio Daniil, oggi sedicenne, che lui non può più vedere regolarmente dal 2010, quando la mamma, l’ex compagna (russa anche lei) di Aloe, partì per una vacanza e non si fece più vedere.
Da quel momento è iniziata una vicenda che somiglia a tantissime altre, quella delle coppie internazionali scoppiate, quella di un padre che soffre perché non riesce più a essere tale. Lui ha visto il ragazzo l’ultima volta sei anni fa, durante un incontro di poche ore in occasione del suo compleanno. Poi più nulla. Da questo black out, e dalla situazione di impotenza («ho fatto anch’io il mio percorso legale in Russia, ma l’esito è stato totalmente deludente») Aloe ha tratto l’ispirazione per un diario quotidiano: «Da cinque anni invio a mio figlio lettere, poesie, riflessioni. Lo faccio scrivendo in italiano e in russo, su Facebook e sul più popolare concorrente del social in quel Paese, che è vKontakte. È nato innanzitutto come uno sfogo, perché altro non mi restava da fare, ma io ho la concreta speranza che un giorno, da qualche parte, mio figlio scopra davvero i miei messaggi e decida di mettersi in contatto con me. È una cosa che ritengo probabile. Certo, questa cosa può non avere alcun esito. E uno iato temporale e culturale così ampio può produrre reazioni negative, lui potrebbe scoprirmi e coltivare dei pregiudizi nei miei confronti. Questo è un problema che mi pongo spesso. Ma io - prosegue il professore - non ho mai usato i miei messaggi per riversare il mio livore o comunicare al ragazzo l’idea che ho di sua madre, che pure è negativa. Non parlo di queste cose. Solo messaggi positivi: quando gli scrivo, parlo di me e del mio lavoro, della sua famiglia italiana d’origine, dei nonni».
L’età è diversa, ma non troppo se si toccano certe corde e alcuni argomenti. «E poi - sottolinea - scrivo versi. E chi li ha letti, ha apprezzato. Mi sembra di avere colto nel segno».E proprio le reazioni altrui hanno incoraggiato Aloe a trasformare i suoi messaggi al figlio in un libro, «Diario di paternità» (Lemma Press), 168 pagine che ora traduce in russo e conta («sono a buon punto») di pubblicare anche in quel Paese, trovando un editore. Il suo viaggio letterario di dolore e speranza incontra certo l’interesse dei padri separati, un mondo che oggi ha preso forme quasi «politiche», di denuncia pubblica.