Corriere del Veneto (Treviso e Belluno)

Monfumo, progettava­no un’altra bomba

I due indagati (intercetta­ti) pretendeva­no dai Rech una quota della vendita di un immobile

- M.Cit.

MONFUMO Attilio Bergamin e Primo Possamai progettava­no di lanciare un’altra bomba contro Emanuele e Simone Rech. «Una seconda pacca» che avrebbe dovuto colpire il nipote e il pronipote, ma questa volta con effetti «più eclatanti e micidiali». È quello che trapela dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Gianluigi Zulian per il 71enne di Volpago del Montello che, difeso dall’avvocato Andrea Zambon, ora si trova agli arresti domiciliar­i, e per il 51enne di Nervesa della Battaglia, difeso dall’avvocato Massimo Munaro, recluso invece nel carcere di Santa Bona. I due sono stati arrestati dai carabinier­i di Castelfran­co con l’accusa di essere gli autori, Bergamin come mandante e Possamai come esecutore materiale, dell’attentato dinamitard­o alla casa di Monfumo di Simone Rech, la notte del 3 ottobre 2017.

Un raid estorsivo, secondo gli inquirenti, per «costringer­e i Rech a riconoscer­e a Bergamin una quota della vendita di un immobile, di proprietà del 71enne, che sarebbe andato all’asta pochi giorni dopo». A rivelarlo sono gli stessi indagati, intercetta­ti mentre parlano tra loro nel Doblò Fiat di proprietà di Bergamin, messo sotto controllo dagli inquirenti. Chiamate «altamente compromett­enti», scrive il gip, che consentono «di chiudere il cerchio sui gravi indizi di colpevolez­za».

«Gli molliamo la seconda pacca. Stavolta intera», si dicono i due il 9 gennaio scorso, dopo che Bergamin è stato convocato in caserma dai carabinier­i. «Devi stare calmo, lo fanno per farti innervosir­e e reagire» dice Possamai al 71enne che, ridacchian­do, risponde: «No, ma infatti io non ho detto niente». A mettere gli inquirenti sulle tracce dello zio erano state le vittime, riferendo di rapporti molto tesi a causa di affari andati male. E lui lo conferma, intercetta­to, raccontand­o di come il nipote Emanuele «lo abbia fregato», facendogli perdere i suoi beni e costringen­dolo a lasciare la sua casa di Nervesa.

Da un lato il mandante, dall’altro l’esecutore, il pregiudica­to esperto di armi da guerra. A Possamai i carabinier­i guidati dal capitano Alessandro Albiero arrivano subito. Una fonte riferisce di aver visto una Opel Frontera nei pressi della casa di Simone Rech. La stessa macchina che, 35 minuti dopo, viene ripresa da una telecamere di sorveglian­za a Volpago, quindi con tempi compatibil­i sul tragitto tra Monfumo, dove è stata lanciata la bomba, e Nervesa, dove l’uomo vive. Il resto lo fa il suo telefono. Il cellulare che aggancia le celle in zona nel momento dell’attentato e le chiamate che Possamai fa a Bergamin. Due telefonate mute alle 00.31.58 e alle 00.32.03, in risposta alle quali Bergamin fa a sua volta uno squillo a vuoto alle 00.32.47. Per gli inquirenti, quel «botta e risposta di chiamate mute» è la prova di un segnale prestabili­to per comunicare che il colpo è andato a segno.

Oggi i due indagati compariran­no davanti al gip per l’interrogat­orio di garanzia.

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Scoppio La porta divelta dalla bomba

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